Politica

Patrimoniale, spada di Damocle sulla ripresa

I consumi non ripartono, nel settore terziario, ma i conti in banca aumentano.

Togliamo a questo Paese la paura della patrimoniale

Assistiamo a un paradosso. Da un lato c'è un'enorme capacità produttiva inutilizzata nel settore dei servizi, del turismo, della ristorazione, del tempo libero che, con la bella stagione e l'Italia in fascia bianca, solo in parte viene utilizzata. Sia perché il flusso degli stranieri è limitato, sia perché gli italiani non spendono come in passato. Ma dall'altro lato i depositi bancari a maggio hanno raggiunto un record assoluto di 1.774 miliardi. I consumi non ripartono, nel settore terziario, ma i conti in banca aumentano. Come si conciliano i due fatti, che sembrano in contraddizione ? Lo spiega bene il teorema di Franco Modigliani, economista neo keynesiano, premio Nobel dell'economia, con la sua teoria del risparmio nel ciclo della vita. Le persone negli anni maturi accumulano risparmio per la loro vecchiaia e per il lascito a figli e nipoti, onde averlo da spendere nella vecchiaia e tenerlo per le eredità. Quando temono che ci saranno nuove imposte sui loro beni o altri eventi, che mettono a rischio i loro risparmi, accrescono questa accumulazione e, nella terza età, riducono la spesa, perché debbono cautelarsi. È quel che sta accadendo, con la minaccia di tasse patrimoniali, con le cartelle esattoriali prorogate ma non rottamate, con gli sperperi del reddito di cittadinanza, con il blocco degli sfratti in proroga. Il timore delle nuove tasse, è la causa maggiore del paradosso.

La questione fiscale frena la ripresa economica, generando un altro paradosso, quello per cui nelle località turistiche, nonostante la ripresa limitata, manca la manodopera per il lavoro stagionale. In molti altri settori ci sono carenze di lavoratori, eppure molti chiedono di prorogare il blocco dei licenziamenti per non creare ondate di disoccupazione. Abbiano un tasso di disoccupazione attorno al 10% ma anche un tasso naturale di disoccupazione dell'8%, ossia una riserva di manodopera del 8-9% e di capacità produttiva inutilizzata perché il Jobs Act e il Decreto Dignità hanno ingessato il mercato del lavoro con regolamentazioni e tassazioni, per scoraggiare i contratti a termine, quelli decentrati regionali, quelli aziendali, di produttività, che, invece, dovrebbero esser liberalizzati e detassati.

In Germania il tasso naturale di disoccupazione è attorno al 2%, perché mentre i diritti fondamentali dei laboratori sono tutelati, i contratti di lavoro sono deregolamentati e il regime fiscale favorisce il lavoro part time, non scoraggia i contratti a termine, favorisce i lavoratori con più figli a carico. (Va notato che questa deregolamentazione è stata fatta da un ministro socialdemocratico che aveva una diversa concezione della dignità del lavoro). Negli Stati Uniti il tasso naturale di disoccupazione è il 3% perché i contratti di lavoro sono liberi, ma il mercato del lavoro e degli impianti è sterminato. Il tasso naturale di disoccupazione (in inglese denominato NAIRU,) viene misurato con studi econometrici, con cui si vede a che livello cominciano a salire i salari, perché c'è scarsità di manodopera. E qui c'è un altro paradosso, cioè la Germania pur con un tasso naturale di disoccupazione del 2%, non ha inflazione salariale, perché importa lavoratori qualificati. Attratti dal fatto che pagano poche tasse. Noi invece esportiamo lavoratori qualificati negli stati ove essi sono tassati poco, mentre da noi hanno aliquote progressive elevate e il peso dell'IRAP inventata da Prodi .

È chiaro che la riduzione delle tasse, finalmente, li farebbe guadagnare.

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