Quello che pare più disturbare Bruxelles non sono tanto, o non solo, le cifre offerte in replica dal governo Renzi alle contestazioni Ue sulla manovra, ma il tono arrogante che continuano a usare premier e ministri. Tono con cui si ostinano a rinviare al mittente critiche e richieste di chiarimenti sulla composizione stessa della manovra e sugli impegni traditi. «L'Italia è stata fra i pochi Paesi a usare la flessibilità perché aveva le carte in regola», ha continuato a ripetere fino a ieri il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan che fra 24 ore sarà a Bruxelles per quello che definisce «un dialogo tecnico e politico». E se è vero che domani non verranno prese decisioni di sorta è anche vero che il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici formulerà le prime valutazioni sulla legge di bilancio. In attesa che poi, a metà novembre, la Commissione cali sul tavolo le sue proposte sui Draft budgetary plan inviati dai paesi membri dell'Ue. Proposte che verranno a loro volta esaminate da Eurogruppo ed Ecofin il 5 dicembre. E cioè il giorno dopo il referendum.
Non è intenzione dell'Europa infiammare un clima politico italiano già turbolento, ma non c'è dubbio che l'Ue sia delusa e fortemente insoddisfatta dai numeri messi nero su bianco dal governo in questa manovra. Le regole europee chiedono all'Italia per il 2017 una riduzione del deficit strutturale dello 0,6% del Pil. Il progetto di bilancio presentato dal governo Renzi prevede invece un aumento del disavanzo strutturale dello 0,4%. Questo è quanto nella missiva della Ue sulla manovra, hanno rimarcato Moscovici e il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, chiedendo spiegazioni sulla revisione degli obiettivi e del divario sostanzioso rispetto agli impegni presi nella primavera scorsa dall'Italia. Colpa di sisma e migranti, hanno replicato Padoan e il premier Matteo Renzi. Ma senza dire tutta la verità. La Ue ha chiesto ulteriori chiarimenti sugli ammontari inclusi nella legge di Bilancio che non sono arrivati. Senza considerare che Bruxelles ritiene che la messa in sicurezza degli edifici sia una misura strutturale e non emergenziale così come invece viene considerata a Roma. Nel mirino dell'Europa, poi, non c'è solo il deficit strutturale ma l'impalcatura stessa della manovra. Che prevede un impianto di oltre 27 miliardi basato su 15 miliardi di misure fra maggiori entrate e minori spese e 12 di deficit aggiuntivo. Con il risultato di portare il nuovo indebitamento 2017 al 2,3% del Pil. Sul fronte delle entrate la parte del leone la fa il decreto fiscale chiamato a portare nelle casse dello stato 3,8 miliardi di nuovo gettito. Ebbene oltre la metà di queste coperture arriva da interventi una tantum come quelli sui giochi, asta delle frequenze e sanatorie fiscali. A questo proposito ieri il relatore del dl fiscale Paolo Tancredi (Ap) ieri si è detto «pessimista» sulla possibilità di allungare la rateazione delle cartelle «rottamate» oltre il 2018. Non ci sono le coperture. E su tutte queste una tantum ha acceso un faro l'Europa.
Il ragionamento è che la flessibilità ulteriore chiesta dall'Italia, seppur per cause giuste, si appoggia su una manovra che appare il classico gigante con i piedi di argilla. Altro che conti in regola, come ha dichiarato Padoan.
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