Torna l'allarme banche. Fitch: "Sono in pericolo". Spread verso quota 200

L'agenzia Usa teme ricadute sul taglio dei crediti a rischio se cala la fiducia sull'Italia

Torna l'allarme banche. Fitch: "Sono in pericolo". Spread verso quota 200

Al concentrato di tossine economiche presente nel programma di governo di Lega e Movimento 5 Stelle, Fitch contrappone il distillato velenoso delle possibili conseguenze per l'Italia. Così, dopo le minacce neanche troppo velate di declassamento del rating tricolore, ora tocca alle nostre banche finire nel mirino. O, meglio, sotto il tiro è il loro lato più vulnerabile, quell'elevato livello di sofferenze che a fatica si sta provando a smaltire. Anche con l'aiuto della seppur parziale stampella pubblica.

La gruccia rischia però di essere segata dall'alleanza giallo-verde, più incline alla salvaguardia dei risparmiatori, un po' meno a preoccuparsi di faccende complicate come lo smaltimento dei crediti incagliati. Che poi, in fondo, è la solita contrapposizione fra chi - l'Europa - ha rottamato i salvataggi coi soldi dei contribuenti (i bail out) spostandosi sulla sponda opposta (i bail in), e chi vede come fumo negli occhi quanto partorito a Bruxelles. È una divisione che Fitch conosce benissimo (un aumento della portata del bail out, recita l'ultimo report «andrebbe a scontarsi con la direttiva Ue sulla risoluzione delle banche e le regole sugli aiuti di Stato») e di cui già prevede le conseguenze. E dunque? «Un prolungato calo nella fiducia degli investitori sulla scia dei piani del nuovo governo italiano sulle banche potrebbe ritardare i progressi degli istituti nel ridurre i loro ampi stock di Npl (le sofferenze, appunto, ndr) e rendere più costose nuove emissioni». Soprattutto in un momento in cui lo spread, schizzato ieri fino a 200 punti (chiusura a 191), e il continuo calo dei titoli bancari (-1,72% l'indice di settore, contro il -1,31% di Piazza Affari) rappresentano due spine nel fianco per gli istituti.

Come un bignamino, l'analisi riassume coi numeri la situazione attuale. I crediti a rischio d'insolvenza avevano toccato un picco nell'aprile 2017 di 203 miliardi di euro, per ridursi a a 167 miliardi a fine 2017. Gli stock di sofferenze restano però i più alti in Europa, mentre il rapporto tra Npl e il totale dei prestiti delle banche è «ben al di sopra della media dell'Ue di circa il 4% a fine 2017». La missione di messa in sicurezza del sistema creditizio è quindi ben lungi dall'essere completata. Anche perché lo smaltimento dei prestiti più deteriorati avviene facendo leva sulla Gacs. L'acronimo è orrendo, ma è la garanzia dello Stato di cui le banche beneficiano sulla parte senior (la meno rischiosa) delle obbligazioni il cui sottostante sono proprio i crediti deteriorati. Non è roba da poco, visto che consente di liberarsi degli npl a valori più alti rispetto alla media di mercato. Fitch, che al momento dell'adozione di questo strumento aveva per la verità qualche dubbio a causa dei tempi lunghi di recupero delle procedure giudiziarie in Italia, ha cambiato idea: «Gacs è un importante aiuto nella riduzione dei crediti deteriorati e un proseguimento di questo schema e un possibile allargamento ad altre categorie di esposizioni dubbie potrebbe sostenere ulteriormente la riduzione di Npl». La Gacs ha però una scadenza, il prossimo 6 settembre. A fine mese la Commissione Ue potrebbe concedere una proroga di 4-6 mesi, vitale per le nostre banche.

Sempre che lo strumento non venga mandato prima sul binario morto dal nuovo governo. In tal caso, è la sentenza di Fitch, il danno non sarò solo per le banche ma anche per «i creditori privilegiati, incluso chi ha un deposito e molti piccoli investitori».

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