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Il tour di Conte: da 5 stelle a 4 gatti

Poca gente ai comizi del leader M5s che crolla nei sondaggi. E Grillo gli tifa contro

Il tour di Conte: da 5 stelle a 4 gatti

Dalle Cinque stelle ai quattro gatti, quelli che Giuseppe Conte incontra nel suo tour elettorale in giro per l'Italia, già infatti ribattezzato flop tour. L'ex premier si sogna i bagni di folla di quando era premier. Ora che è solo un leader di un partito allo sbando, con più nemici che amici al suo interno e in caduta libera nei sondaggi, nei comizi fatica a radunare gente. Le immagini della tappa a Civitanova Marche, con poche decine di persone mobilitate dal M5s locale sennò manco quelle, sono eloquenti. Una scena che fa pensare a un candidato al consiglio comunale, non a un ex presidente del Consiglio leader del primo partito in Parlamento. Anche altrove stessa cosa, come a Guidonia, dove pure (o proprio per questo) il sindaco uscente è M5s, al comizio di Conte c'erano solo «pochi intimi», raccontano le cronache locali e le foto.

D'altronde i primi a sperare in un disastro elettorale di Conte sono proprio dentro il M5s. In testa Beppe Grillo, che già lo aveva tumulato definendolo «privo di visione politica e capacità manageriale», salvo poi fingere di chiarirsi davanti a una spigola al forno con verdure a Marina di Bibbona. E poi il governista Luigi Di Maio, con cui è in guerra aperta su tutto. Conte paga anche una linea politica incomprensibile, un po' nel governo ma con la voglia matta di farlo cadere, ovunque a rimorchio del Pd un tempo schifato, a cominciare dalla Genova di Beppe Grillo (e del Ponte Morandi, quello dei Benetton). E un movimento che si è rimangiato tutti i princìpi in nome delle carriere e delle poltrone. I sondaggi danno ormai il M5s al 13%, nei capoluoghi non ha nessun candidato sindaco. E come se non bastasse, incombe un secondo ricorso di attivisti contro lo statuto e quindi la sua carica: domani l'udienza al Tribunale di Napoli.

Ma Conte sogna lo stesso un ritorno a Palazzo Chigi sulle ali del Pd, che un tempo lo aveva gasato all'inverosimile presentandolo come «un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste».

La sua è in effetti una caduta verticale, da base jumping. Quando era premier i sondaggi (pompatissimi dal suo fidato Casalino) lo davano ai massimi storici, con il suo governo oltre il 71% di fiducia tra gli italiani. La Demos lo aveva decretato nientemeno che «premier più amato degli ultimi 25 anni». Non solo, si ipotizzava la nascita di un partito tutto suo, il partito di Conte, stimato come minimo al 15%,. Ad un certo punto era diventato quasi un sex symbol, nacquero le «Bimbe di Conte», le fan del premier con il ciuffo e la pochette: bravo, intelligente e pure bello. Un successo che aveva travalicato anche i confini nazionali, con l'imprimatur degli Usa quando Donald Trump lo elogiò pubblicamente in un tweet chiamandolo «Giuseppi».

Uscito da Palazzo Chigi, è finita la magia. Conte ha scoperto che guidare un partito non è come fare il premier (venuto dal nulla), è un lavoraccio. E si rischia l'osso del collo, come farà lui domenica, al suo primo vero test elettorale da leader M5s.

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