Anche volendo essere garantisti al massimo livello, la sintonia nella maggioranza Draghi tra i due Mattei, Matteo Renzi e Matteo Salvini, ormai è qualcosa di più di una suggestione. Nonostante Renzi non apprezzi l'abbinamento, va oltre le comuni relazioni fiorentine o le casuali coincidenze di vedute che possono capitare anche tra avversari politici. Senza andare troppo indietro nel tempo, dopo l'apertura di Renzi alla Lega sulle modifiche al ddl Zan sull'omotransfobia, dopo la constatazione del medesimo Renzi che per il Quirinale sarà necessario trovare un accordo con il centrodestra, adesso l'intesa arriva sul tema antigrillino e liberista per eccellenza, l'attacco al reddito di cittadinanza rifinanziato anche dal governo Draghi.
Non in toto sia chiaro, perché nessuno dei due chiede di abolire il reddito, però fanno a gara nel prenderlo a randellate. Questa volta è il segretario della Lega Matteo Salvini a navigare sulla scia di Renzi, che l'ha definito «diseducativo» per le nuove generazioni. Dopo che il segretario di Italia viva ha annunciato ai giovani di Confindustria l'intenzione di raccogliere le firme a partire dal 2022 per dare la parola agli italiani con un referendum abrogativo, Salvini ha parlato di «revisione» sulla base del fatto che gli imprenditori gli dicono che «faticano a trovare lavoratori, perché c'è chi preferisce stare a casa col reddito di cittadinanza». Conclusione del segretario della Lega: «Questo vuol dire che bisogna rivederlo perché anziché creare lavoro sta creando problemi».
La novità dell'oggi è che a fare da terzo incomodo è il Pd di Enrico Letta, favorevole alla «rimodulazione». Dal Nazareno parlano di «strumento imperfetto da rimodulare attraverso politiche attive del lavoro che consentano di incrociare domanda e offerta» anche se «in tempo di pandemia è stato uno strumento prezioso per chi non ce l'avrebbe fatta, soprattutto al Sud». La frecciata al Matteo di Italia viva però non manca e il referendum è definito «un'operazione di maquillage editoriale di Renzi» e «accanimento contro povera gente». Quanto al «diseducativo» l'attacco è a «un paternalismo che omette di fare critica sugli errori di questi anni nella creazione di nuova precarietà». Una critica al Jobs Act.
C'è da dire che Matteo Renzi già nel suo intervento aveva introdotto una clausola di salvaguardia, ovvero aiutare «chi davvero non ce la fa, ma per gli altri incentivare il lavoro e non l'assistenzialismo». D'altra parte era stato lui medesimo da presidente del consiglio a lanciare il Rei, il reddito d'inclusione universale, sia pure di entità e durata più ridotte.
A precisare ulteriormente la posizione è Davide Faraone, presidente dei senatori di Iv: «Noi non pensiamo di abolire l'assistenza in questo Paese. Chi ha bisogno va sostenuto e tutelato, il governo Renzi per primo ha introdotto il reddito d'inclusione investendo 2,7 miliardi per la povertà. A chi non ce la fa, a chi non può lavorare, a chi ha bisogno d'aiuto, va garantita l'assistenza». Poi l'affondo: «Via il reddito grillino che non funziona per finanziare, con gli stessi soldi, due misure distinte: l'assistenza alle persone povere e il ricollocamento al lavoro».
Da destra, uno dei fondatori di Fratelli d'Italia, Guido Crosetto, si spinge a dare un suggerimento concreto con un tweet: «Il modo più facile per impedire che il reddito sia un disincentivo al lavoro (o a quello regolare) è obbligare chi lo percepisce a un minimo di ore giornaliere da mettere a disposizione di enti locali, Pubblica amministrazione, associazioni».
Il fallimento del
reddito di cittadinanza così come è stato applicato è parere quasi unanimemente condiviso, sia da chi l'ha sempre combattuto che da chi lo aveva sostenuto o almeno non osteggiato, come i governi gialloverde e giallorosso.
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