La guerra di Putin in Ucraina è un fallimento. L'armata del cosiddetto Zar, che l'aveva scatenata 13 mesi fa scommettendo di vincerla in fretta grazie alla sua superiorità militare e alla debolezza politica dell'Occidente, si è impantanata da sei mesi in un buco sconosciuto chiamato Bakhmut e da lì non si muove. Vi ha già sacrificato decine di migliaia di uomini, ma ancora non è in vista quell'obiettivo minimo che permetterebbe almeno al Cremlino di sbandierare una vittoria sul campo.
Le sanzioni occidentali, come ha dovuto ammettere a denti stretti lo stesso Putin, mordono e rendono arduo rimpiazzare strumenti preziosi come i radar antiaerei, che hanno bisogno di componenti avanzati ormai quasi irreperibili. Carri armati e missili di qualità cominciano a scarseggiare, costringendo i generali russi a esumare cingolati da museo e a usare armi antiaeree difensive per attaccare obiettivi nemici. Per compensare le ingenti perdite umane, una nuova leva forzosa di 147mila uomini è alle viste: fornirà altra carne da cannone. In questo contesto, una tregua farebbe gran comodo alla Russia. Purché alle sue condizioni, s'intende: non un metro quadrato di territorio ucraino conquistato dev'essere restituito (anche perché è stato trionfalmente annesso alla Russia, e sarebbe uno smacco) e nessuna delle altre richieste avanzate da Kiev (processo ai criminali di guerra e pagamento dei danni inflitti all'Ucraina) presa in considerazione. Ma siccome non ci sarà nessuna tregua, ma piuttosto un'imminente controffensiva ucraina verso Sud sostenuta da armamenti americani ed europei, ecco che Mosca ricorre alla propaganda per fermarla. Attenzione, ammoniscono i vari Lavrov, Peshkov, Zakharova e volentieri ripetono i loro simpatizzanti oltreconfine: la terza guerra mondiale è a un passo, con catastrofe nucleare annessa.
Obiettivo di questi messaggi, che da ultimo ha ripetuto ieri il vassallo bielorusso di Putin Aleksandr Lukashenko, sono le opinioni pubbliche occidentali. Le si vuole terrorizzare, come negli anni Ottanta quando l'Unione Sovietica di Yuri Andropov tentò di mettere l'Europa occidentale sotto il suo tallone schierando i missili con testate nucleari SS-20: allora la propaganda di Mosca alimentava un pacifismo tremebondo dipingendo falsamente i nostri missili difensivi come l'innesco certo dell'Armageddon, adesso è lo stesso. I russi hanno poca fantasia, contano sulla stanchezza e sulla corta memoria di tanti di noi senza dimenticare l'attivismo di quelli che stanno dalla loro parte.
Ieri ci si è messo anche un altro amico del giaguaro, quel Viktor Orbàn che ha già assicurato a Putin che non verrebbe mai arrestato nella «sua» Ungheria, anche se aderisce alla Corte Penale internazionale che ha dichiarato il presidente russo criminale di guerra e intende processarlo. Orbàn s'è inventato una fantomatica forza d'interposizione europea «pronta a essere schierata in Ucraina» pur di provare a garantire un cessate il fuoco gradito a Mosca: ognuno aiuta gli amici come può.
Difficile che questi mezzucci funzionino. Putin deve tirare la guerra in lungo e sperare in un aiuto americano. Non è uno scherzo: se l'anno prossimo salirà alla Casa Bianca il redivivo Donald Trump, il flusso principale di aiuti all'Ucraina cesserebbe bruscamente.
Putin potrebbe così giocare al suo gioco preferito: vincere facile. La sua vittoria in Ucraina, però, la pagheremmo noi trovandoci i russi imbaldanziti ai confini di una Nato indebolita: se c'è un uomo che può avvicinare l'Armageddon in Europa, il suo nome è Donald Trump.
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