Dell'Utri: "Dopo trent'anni ho vinto tre a zero. Ma ho ancora i conti correnti bloccati dai pm"

L'ex parlamentare Marcello Dell'Utri: "Mi spiace non poter festeggiare con Silvio. A Firenze sono sotto inchiesta dal 1998 ma la Procura non mi ha ancora voluto interrogare"

Dell'Utri: "Dopo trent'anni ho vinto tre a zero. Ma ho ancora i conti correnti bloccati dai pm"

La notizia?

"L'ho appresa dal Foglio".

È finita tre a zero?

"Sì, tre a zero. Tribunale, corte d'appello e ora Cassazione. Non ci sono rapporti fra il sottoscritto e Berlusconi e Cosa nostra".

Da quanti anni va avanti questa storia?

"Una trentina, credo dal 1994. Subito dopo le elezioni, quelle della discesa in campo del Cavaliere, mi ero messo in testa di creare un partito strutturato e organizzato come un'azienda. In realtà avevo in mente il vecchio Pci, la scuola delle Frattocchie, lo studio della storia e della Costituzione, la classe dirigente ben preparata. Ma subito cominciarono a uscire i primi articoli sull'Espresso. Due pagine e un titolo in forma di requisitoria: Dell'Utri vuole mettere l'Italia sottosopra".

Era il segnale della tempesta in arrivo?

Marcello Dell'Utri sfoggia un sorriso ironico: "Poco dopo sono iniziati i miei guai. Processi, avvisi di garanzia, accuse terrificanti, così grandi da essere fantascientifiche. Come si può pensare che io possa aver messo o fatto mettere bombe che hanno provocato stragi?".

Ora è finita. Niente sorveglianza speciale e niente sequestri dei beni.

"Un attimo. Questo processo è concluso e mi spiace che non ci sia a festeggiare il mio amico Silvio Berlusconi. Ma io ho ancora i conti correnti bloccati".

Da chi?

"Dai magistrati di Firenze. Io non avrei comunicato le donazioni ricevute da Berlusconi. Per forza: non sapevo di essere tenuto a rendicontare questi importi".

A Firenze è sotto inchiesta per le stragi di mafia.

"È una storia che va avanti dal 1998, ovvero da ventisette anni. Aprono e chiudono, archiviano e poi seguono nuovi spunti. Ma non sono mai stato interrogato da quei pm".

Mai in ventisette anni?

"Mai".

La sua colpa?

"È trent'anni che si parla delle stesse cose, in particolare di Vittorio Mangano".

Chi era Mangano?

"Quando lo assunsi ad Arcore risultava essere uno bravo con i cavalli e i cani. Poi uscì il resto e il contesto".

Come l'aveva conosciuto?

"Sul campo della Bacigalupo, la squadra di Palermo che avevo fondato".

Mangano era legato a Gaetano Cinà, pure finito in questo reticolo di procedimenti.

"Vero, ma Gaetano era il padre di Filippo, ottimo centravanti che poi abbiamo venduto al Varese. Se vai a vedere le parentele, fai fuori mezza Palermo".

Lei è stato condannato a sette anni per concorso esterno.

"E sa cosa le dico? Da dieci anni, anzi da undici aspetto la sentenza della Corte di Strasburgo che spero annulli quella condanna. Esattamente come è successo per Bruno Contrada. La sentenza, affermano gli avvocati, sta per uscire, ma intanto ancora non c'è".

Sospetta una manina?

"Aspetto. E non lascio arrivare allo stomaco tutto questo fango che mi viene addosso da trent'anni. Ho avuto un cancro alla prostata. Ma se mi fossi attorcigliato su tutte queste persecuzioni, oggi avrei dieci malattie".

L'antidoto?

"I libri. Ne ho più di centomila e non mi chieda se li ho letti tutti. Le risponderei che me ne manca uno, l'ultimo".

Ha risposto da solo.

"Sono concentrato sulla Biblioteca Utriana".

Che cosa è?

"Un segno del mio passaggio su questa terra".

Lasci la metafisica. In concreto?

"Una raccolta di libri a soggetto siciliano che sto realizzando nella Valle dei Templi ad Agrigento e che speriamo di inaugurare in primavera. Vede, l'impegno su questo fronte mi aiuta a non sprofondare nel gorgo delle contestazioni e dei capi d'imputazione. Nelle scorse ore ho ricevuto moltissimi messaggi di felicitazioni per il verdetto della Cassazione. Ne sono felice. Però...".

Però?

"Non sento in Forza Italia la stessa vibrazione, carica di indignazione, che c'era ai tempi del Cavaliere. È una vergogna aver accostato il Forza Italia a Cosa nostra".

Cosa le manca di Berlusconi?

"La telefonata. L'invito a pranzo, la sua amicizia. Tutto. E ogni tanto mi torna in mente quando lo incrociai per la prima volta".

Nel 1961?

"Corretto. Don Bruno Padula, che allora era un laico e si era laureato in legge, mi diede il consiglio giusto".

Quale?

"Io arrivavo a Milano e cercavo di allacciare nuovi rapporti".

Cosa le suggerì?

"Di incontrare tale Silvio Berlusconi. È un po' gasato - spiegò - ma vale la pena conoscerlo. Così andai a trovarlo: lui faceva le dispense degli esami e le vendeva in via Festa del Perdono".

Gliele fece pagare?

"No, me le regalò. Poi è arrivato tutto il resto. Sono stato il suo segretario, poi un dirigente e il Presidente di Publitalia, quindi ho selezionato il personale della nascente Forza Italia. Voglio anche sottolineare che a Publitalia abbiamo inventato il marketing strategico, i nostri venditori sapevano tutto di quel prodotto e così siamo passati dalla réclame alla pubblicità. In ogni caso, ho fatto anche l'imputato a tempo quasi pieno".

Le accuse non sono finite nemmeno quando è morto il Cavaliere?

"No e non so se avranno mai fine. Leggo sui giornali che c'è una nuova inchiesta a Caltanissetta, addirittura per la morte di Borsellino. Lui aveva dato un'intervista alla tv francese su Mangano e allora, se ho capito bene, io avrei fatto scattare la terribile vendetta. Spaventoso. Adesso, mettono in mezzo pure i francesi".

A proposito, lei

che è un raffinato uomo di cultura, ha letto del furto dei gioielli al Louvre?

"Mi spiace - sorride l'ex senatore - ma ho l'alibi. Non ero a Parigi e non li ho portati via io. Però al Louvre preferisco gli Uffizi".

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