«Niente tagli o mi dimetto: non parteciperò all'ennesima mannaia sulla sanità pubblica». Il Patto per la Salute che doveva rappresentare un rilancio per il servizio sanitario nazionale è già saltato prima ancora di esser chiuso e la Grillo mette sul tavolo le sue dimissioni per difenderlo.
È scontro tra il ministro della Salute e quello dell'Economia, Giovanni Tria, per i sempre più probabili tagli al settore della sanità già in ristrettezze. Si parla di due miliardi in meno per il 2020 e di uno e mezzo per il 2021 che messi insieme, guarda le coincidenze, fanno esattamente 3 miliardi e mezzo ovvero la cifra che il Mef dovrebbe recuperare, per la verità già entro quest'anno, con una manovra correttiva come potrebbe chiederci la Ue.
Un'ipotesi che la Grillo ritiene «politicamente irricevibile». Nel mirino del titolare del dicastero della Salute la conclusione dell'articolo 1 della bozza che definisce quelli che dovrebbero essere i finanziamenti per il triennio 2019-2021: 114.4 miliardi euro per il 2019; 116.4 per il 2020 e 117.9 per il 2021. Peccato che gli stanziamenti siano condizionati e passibili di «eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico».
E purtroppo il disastro dei conti pubblici lascia presagire un quadro fosco. Il corridoio che Tria deve percorrere è strettissimo visti i paletti posti dall'Europa e quelli altrettanto rigidi imposti dai due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Non si vuole aumentare l'Iva nè rinunciare a Quota cento o al reddito di cittadinanza e dunque non resta che colpire il Welfare. Questo significa meno servizi per i cittadini che negli ultimi anni rinunciano sempre più spesso a curarsi per motivi economici.
La previsione di quello che sarebbe inevitabilmente accaduto era già stata fatta nel febbraio scorso dall'Ufficio parlamentare di bilancio che nel rapporto per il 2019 aveva messo nero su bianco come per il 2020 e il 2021 ci fosse il concreto rischio che la spesa sanitaria potesse essere «oggetto di riduzioni consistenti» per sterilizzare l'aumento dell'Iva.
La clausola di salvaguardia ha già provocato la rivolta delle regioni e il ministro pentastellato specifica che la postilla incriminata non è opera sua. «Non viene dal ministero della Salute ma è stata inserita in questa bozza e in questa fase dove ovviamente il Patto non è definitivo, per espressa richiesta degli uffici del ministero dell'Economia». La Grillo insomma scarica la grana su Tria e garantisce di essere pronta a lasciare il ministero se quella clausola non verrà eliminata.
Anche le regioni sono tutte sul piede di guerra visto che il Patto prevedeva una serie di novità importanti come la cancellazione del superticket da 10 euro a ricetta che per molti italiani è un peso e soprattutto lo sblocco delle assunzioni indispensabile, visto che in corsia mancano già circa 16.000 medici ospedalieri rispetto al fabbisogno. E le regioni si vedono costrette a correre ai ripari attraverso soluzioni «estreme» come richiamare al lavoro i medici pensionati, aggirare le norme dei concorsi per utilizzare i medici stranieri in corsia o attingere dalle forze armate ricorrendo ai medici militari.
«Sulla sanità non si può tagliare più di quanto è già stato fatto.
L'incremento che è stato previsto nella scorsa legge di Bilancio è il minimo sindacale per tenerla in piedi», insiste la la Grillo che punta a razionalizzare con accordi trasparenti a livello globale la spesa farmaceutica che, ricorda, «è pari a 22 miliardi di euro annui a livello pubblico, con altri 8 di spesa privata».
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