Trionfi e cadute La doppia vita di un mattatore indecifrabile

Risorto sul web dopo i guai con la Rai ha portato M5s al potere con la comicità

Trionfi e cadute La doppia vita di un mattatore indecifrabile

Giuseppe Piero Grillo compie settant'anni. C'è poco da ridere. È roba seria, non soltanto l'età che è già ottima e abbondante. Ma il tipo si porta appresso una fetta di vita, di cronaca e, mettiamola pure giù, di storia che accontenta mezzo Paese e più.

Chi lo definisce un giullare se la cava con un sostantivo che non ha nulla a che fare con il suddetto artista comico politico che assolutamente non fa o dice cose gradevoli e gradite al re e alla sua corte, anzi, il sovrano e i cortigiani risultano bersagliati, colpiti e affondati dalle parole perfide che sono frecce velenosissime. Chi lo definisce un comico monello prestato alla politica non ha forse capito e non vuole capire che Giùse, come lo chiamavano gli amici antichi, usa la comicità per fare politica ma usa anche la politica per fare comicità, il prodotto finale lo ha portato ad essere il comunicatore vero in assenza di presenze televisive, un recordman assoluto in un'epoca in cui se non appari scompari. E invece i migliori anni della sua vita sono forse questi ultimi, nel senso temporale, garantendogli una visibilità e una illuminazione che la tivvù e il teatro, da soli e avessi detto, non sarebbero stati in grado di offrirgli. Anche perché la rete, internet, il web sono specchi, megafoni, palcoscenici, tutto ciò che per lui è indispensabile.

Perché Grillo, al di là delle sue idee e ideologie, è mattatore autentico, agile e abile di intelletto, con quella postura curva che lo fa sembrare campanaro di Notredame e, insieme, istrione dalla teatralità innata. Ride, spesso, delle sue stesse battute, quella che gli costò il lavoro in Rai è ancora e sempre attualissima «i cinesi sono un miliardo e sono tutti socialisti, ma allora a chi rubano?», con l'espressione successiva, le sopracciglia incurvate, la ricerca di un consenso, di un applauso, il volto improvvisamente consapevole e preoccupato di aver pestato una deiezione, come accadde a John Lennon che, era il Sessantatré, nel teatro Prince of Wales, suggerì al pubblico dei paganti, in galleria, di battere il tempo con le mani e ai Windsor e nobiltà varia, seduta in platea, «di far tintinnare i loro gioielli». Un colpo di frusta che rese ancora più popolari i Beatles ma lasciò il segno rosso sul corpo di Grillo, fatto fuori dai teleschermi, a reti unificate. Nessuna sorpresa, faceva parte del suo copione, non scritto ma pensato, parole libere, non anarchia e infantile ribellione ma verità sacrosanta nel sarcasmo, nell'ironia, indossando un qualunque abito di scena, «el toni», la salopette, come quella del suo predecessore politico e sodale di film, il francese, Colucci-Coluche o la maglietta scura, la sciarpa lunga, svolazzante, di seta, giacconi ampi su una stazza ingombrante, la camicia di tessuto jeans, come erano jeans i capi della Panfin che lui, da sbarbato genovese, andava a proporre in vendita, per mettere assieme la sua «conveniensa». Per colpa di una chitarrata e di una barzelletta di troppo, i signori della ditta lo liquidarono come fece il Biagio Agnes di cui sopra da viale Mazzini, Roma.

Grillo Giùse recita a soggetto per gli affari e gli interessi degli altri, mettendo molto per se stesso, mogli e figli/e compresi, leggendo molto, ascoltando tanto, occupandosi di economia, quella brutta, sporca, ambigua, sotterranea, fosse Telecom o Parmalat, parlando al popolo in piazza o agli azionisti in assemblea, non c'è e non fa alcuna differenza, infatti trattasi del suo pubblico, poi elettore, poi votante, poi militante. Ovviamente dentro la torta con le candeline non c'è soltanto zucchero, crema e cioccolato. C'è il gusto amaro di alcune vicende legali, di condanne, di tasse e di antichi pagamenti non del tutto trasparenti, di un maledetto e tragico incidente automobilistico, di varie ed eventuali che fanno parte di una esistenza complicata comunque vissuta e a due facce: quella plateale, illustrata dall'opera dell'attore artista e quella privata dell'uomo, marito, padre, un Giùse diverso, opposto forse, almeno nell'identikit tracciato da parenti e affini che lo disegnano ben differente dalla tumultuosa figura che si muove e si agita e strepita e ringhia, sotto quell'ondame di capelli argentati, facenti parte bella dell'icona e che si batte dovunque e comunque, asciugandosi spesso la bava dalla bocca, sfidando non l'ignoto ma il notissimo che cerca di nascondersi dietro il partito, l'apparato, l'istituzione e anche lo stesso movimento suo, che, a pensar bene, fa tornare alla mente quello che scrisse l'ottocentesco Costantino Nigra, non certo parente del Grillo, «Uso ad obbedir tacendo e tacendo morir».

Ha coperto lui, da solo, l'intero arco costituzionale, ritrovandosi definito un fascista mascherato, un anarchico pericoloso, un comunista di ripiego, un qualunquista da avanspettacolo, etichette che non aderiscono se non per lo spazio di un mattino, di una battuta, di una risatina. Di certo usa, a volte, male, pensieri, spesso, buoni, di certo si fa affiancare da sedicenti maestri del pensiero e dello scrivere che, con astuzia e interesse, usano la sua popolarità per farsi riconoscere oltre che conoscere. Un talento sprecato, forse? Potrebbe anche darsi. Comunque i settant'anni non sono affatto trascorsi per nulla, anzi. Debbono ancora cominciare a dare i frutti veri, alcuni, infatti, risultano acerbi, altri sono marciti per quel sovraffollamento di persone e personaggi che sono saltati sul suo carro.

La sua rivoluzione contro tutto e contro tutti dovrebbe osservare un minuto di silenzio. Davanti al dolce, alle candeline, agli amici, alla festa. Non credo che questo possa avvenire, perché Giùse evita di celebrarsi, non vuole candidarsi in Parlamento ma non desidera nemmeno essere votato in casa. Belìn.

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