Triste festa all'Europa: tra i leader dimezzati solo la Merkel si diverte

Sessant'anni dopo mancano personalità di alto profilo. Fioccano promesse e mea culpa

Triste festa all'Europa: tra i leader dimezzati solo la Merkel si diverte

Juncker è un po' distratto, se ne sta lì a guardare gli affreschi del Cavalier d'Arpino e non capisce che la domanda è proprio per lui. Gentiloni deve riprenderlo: «Jean-Claude...». È mezzogiorno, tra filmati d'epoca da guardare, tappeti rossi da attraversare e penne stilografiche da impugnare s'è fatta una cert'ora e a Bruxelles com'è noto si mangia presto. «Ho fame», dice candido in conferenza stampa il presidente della Commissione. Il premier italiano lo tranquillizza. «Adesso andiamo al Quirinale». Tanto la cerimonia è finita, Merkel, Hollande e gli altri si sono avviati per la colazione con Mattarella: risotto erbe aromatiche, scampi e agrumi, filetti di spigola, carciofi alla menta, semifreddo.

Al Campidoglio non c'è più niente da fare. Le firme, ventisette, ci sono tutte, anche quelle della tosta nazionalista polacca Beata Szydo in giacca limone e dello scravattato greco Alexis Tsipras. Gli impegni, nero su bianco, pure, ma sono talmente vaghi che sarà difficile uscire dai binari scritti nella dichiarazione. La cornice, quella poi, con la Città Eterna sfavillante di sole e i Fori come sfondo, impossibile pretendere di meglio. Dunque, sessant'anni dopo, l'Europa prova a rilanciarsi: andrà a doppia velocità però non troppo, cercherà di riconquistare la fiducia dei cittadini, si prenderà dieci anni di tempo per sconfiggere i populismi. In sostanza, d'ora in poi gli Stati che lo vorranno potranno procedere insieme su alcuni temi. Ma i modi, gli stessi temi e la velocità sono tutti da stabilire. I leader sospirano, poco è sempre meglio di niente.

Certo, ci sarà parecchio da lavorare per far sopravvivere l'Unione Europea. «Purtroppo - dice Paolo Gentiloni - ci siamo fermati e nel Regno Unito c'è stata una crisi di rigetto. Il vero messaggio che dobbiamo dare è che abbiamo imparato la lezione e che l'Ue sceglie di ripartire perché sappiamo far tesoro dei nostri sbagli». Non sarà facile, ammette Juncker: «Dobbiamo affrontare sfide inedite, molto più complesse di quelle avevano davanti i padri fondatori. Non possiamo perdere la prospettiva». E Antonio Tajani, presidente del Parlamento: «Sono preoccupato per la crescente disaffezione. Servono cambiamenti profondi per dare risposte a chi non trova lavoro o a chi si sente minacciato dal terrorismo. Serve un'Europa concreta, dei fatti». Occorre pure più attenzione alla gente: «Non a caso - insiste Tajani - nel testo la parola cittadini è ripetuta più volte. Il Parlamento controllerà».

Si pranza nel Salone delle Feste. Al brindisi, Sergio Mattarella non si fa troppe illusioni. «Avete firmato una dichiarazione molto impegnativa. Ci vuole una nuova Costituente, altrimenti si rischia una paralisi totale». Insomma, l'Europa unita fa sessant'anni ma non c'è aria di festa, piuttosto di scampato pericolo: dopo la Brexit, la Ue doveva mostrarsi compatta, Polonia e Grecia dovevano formare, non c'erano alternative.

Al rilancio vero ci si penserà se e quando arriverà il momento. Intanto cercasi leader disperatamente, il confronto con Adenauer, De Gasperi e Schuman è impietoso, meglio lasciarli nel Pantheon. Del resto Hollande è all'ultimo giro di corsa, la Merkel rischia di essere battuta, Gentiloni è sotto tutela di Renzi, Rajoy ci ha messo due anni per far nascere il suo governo, il polacco Tusk è presidente del Consiglio nonostante l'opposizione proprio di Varsavia e Junker è il capo di una Commissione che ha appena visto la frattura tra popolari e socialisti, la maggioranza che l'ha eletto. Eppure il buon umore non manca.

I selfie davanti alla dichiarazione, la Merkel che sfotte la Raggi, «lei è il sindaco, suppongo», il premier del Lussemburgo che presenta a Mattarella il suo compagno, «ecco mio marito», Juncker che non vuole prestare a Gentiloni la penna storica dei Trattati del 1957. Ma poi si macchia con l'inchiostro.

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