Troppe incognite con un tecnico presidente

Dove si fermerà la pallina della roulette non è dato sapere. Non lo sappiamo noi comuni mortali. Non lo sanno capi, capetti e caperonzoli che s'incontrano e si scontrano come se non si conoscessero da una vita.

Troppe incognite con un tecnico presidente

Dove si fermerà la pallina della roulette non è dato sapere. Non lo sappiamo noi comuni mortali. Non lo sanno capi, capetti e caperonzoli che s'incontrano e si scontrano come se non si conoscessero da una vita. Sbaglierò, ma ho l'impressione che, senza augurarselo, costoro facciano inconsapevolmente un tifo sfegatato per l'elezione popolare diretta del presidente della Repubblica.

Giulio Andreotti, che ne sapeva una più del diavolo, una volta fiutata l'aria propose che se al sesto scrutinio i grandi elettori di Montecitorio non fossero stati capaci di eleggere il capo dello Stato, la parola sarebbe passata al popolo sovrano. Ma questa idea rimase sospesa a mezz'aria come i caciocavalli di Benedetto Croce. Eppure, non era affatto campata in aria. Perché se l'inquilino del Colle accumula sempre più potere, se la sua fisarmonica come i fatti stanno lì a dimostrare si allarga sempre più, tanto vale che un pugno d'uomini indecisi a tutto cedano il passo a noi cittadini comuni.

Si andrà per le lunghe, com'è accaduto tante volte in passato, al punto che per eleggere Giovanni Leone, un leone che si rivelò vegetariano e fu sloggiato ingiustamente dal Quirinale senza tanti complimenti, occorsero ben 23 scrutini? Al momento, nessuno può dirlo. Ma sarebbe altamente auspicabile che dal comignolo di Montecitorio uscisse una fumata bianca molto prima del 3 febbraio prossimo, quando scadrà il settennato di Sergio Mattarella.

Ma chi sarà il prescelto? Difficile fare previsioni. Non a caso quella malalingua di Winston Churchill metteva le mani avanti: «Non azzardate previsioni. Lasciatele fare ai competenti, o presunti tali, che non ne indovinano una neppure per sbaglio». D'altra parte, i partiti possono fare tra di loro gli accordi che vogliono. Ma in ogni caso fanno i conti senza l'oste. Piaccia o no, i partiti non sono più grandi e grossi come una volta. Sono piccini picciò e a sinistra sono dilaniati dalle correnti. Ormai i parlamentari, soprattutto dopo la cura dimagrante imposta dalla riforma costituzionale che ne ha ridotto il numero, assomigliano ad associazioni di liberi pensatori peripatetici.

Tra le tante ipotesi c'è anche quella di un Mario Draghi che armi e bagagli si trasferisca da Palazzo Chigi al Quirinale. Avremmo tutta una serie di automatismi. Il 3 febbraio Draghi presterebbe davanti al Parlamento in seduta comune integrato dai 58 delegati regionali il giuramento prescritto dall'articolo 91 della Costituzione, e s'insedierebbe sul Colle. Automaticamente Mattarella diventerebbe senatore di diritto a vita. Automaticamente Renato Brunetta come ministro anziano, ai sensi della legge sull'ordinamento sulla presidenza del Consiglio la n. 400 del 1988 assumerebbe la carica di presidente del Consiglio pro tempore. E automaticamente dovrebbe rassegnare le dimissioni nelle mani di Draghi che aprirebbe le consultazioni per un nuovo governo. Il guaio è che in Italia le crisi ministeriali si sa come cominciano e non si sa mai come finiscono. Perciò è molto probabile che si andrebbe allo scioglimento anticipato delle Camere. Lasciando in braghe di tela parecchi rappresentanti si fa per dire del popolo.

Al rischio suddetto si aggiungerebbe un'anomalia. Dei dodici presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 1° gennaio 1948 a oggi, non si è mai verificato il caso di un presidente del Consiglio in carica assurto al Quirinale.

E tutti con la solitaria eccezione di Carlo Azeglio Ciampi, che è stato ministro e presidente del Consiglio, un tecnico non parlamentare avevano alle spalle un seggio parlamentare. Draghi sarebbe una mosca bianca al Quirinale, destinato a sbrogliare una matassa che più aggrovigliata non potrebbe essere.

Perché delle due, l'una: o nomina un presidente del Consiglio di sua fiducia, e avremmo il passaggio dal parlamentarismo al semipresidenzialismo alla francese e i partiti, commissariati, non toccherebbero palla; o lascia che siano i partiti a trovare una soluzione per Palazzo Chigi, e avremmo baruffe chiozzotte che condurrebbero dritti dritti allo scioglimento immediato delle Camere. Vedi caso, il terrore con rispetto parlando dei peones.

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