Giovani e già molto preoccupati. In Italia più che in altri Paesi d'Europa, dove il numero di persone arrivate per sfuggire alla guerra o alla povertà è persino superiore. Il 68,8 per cento degli intervistati, età compresa tra i diciotto e i trentadue, ritiene che gli immigrati siano troppi. In Germania dice che sono «troppi» il 41,5 per cento dei giovani, contro un 45,4 convinto che siano «né troppi né troppo pochi» e un 4,1 che addirittura dice «pochi». Ma da noi è tutta un'altra storia. Solo il 23,3 li ritiene «né troppi né pochi» e uno sparuto 1,4 è convinto che siano pochi. Sono alcuni dei risultati del «Rapporto Giovani 2016» dell'Istituto Toniolo, che sarà presentato domani durante un convegno all'Università Cattolica di Milano.
Dati su cui riflettere, che si accompagnano a un atteggiamento verso l'accoglienza più sfumato. Anche se il 68,8% crede che gli immigrati siano troppi, solo il 30 è convinto dall'idea di bloccare flussi e invita a rimpatriarne il più possibile. Il 40% propone di accogliere solo i profughi, il 24% chiede di accogliere tutti. Commenta la professoressa Rita Bichi, docente di Sociologia alla Cattolica, autrice del focus sul rapporto tra giovani e immigrazione: «La posizione prevalente è dire: attenzione a chi facciamo entrare. Non è diffusa la convinzione che si debbano far entrare tutti indiscriminatamente. Sono atteggiamenti di difesa e di relativa chiusura, che in parte si spiegano col fatto che l'Italia è il Paese di prima assistenza di queste persone e la rilevazione è stata fatta nel periodo di maggiore affluenza dei profughi, nel giugno 2015, quando i media amplificavano in maniera molto forte gli sbarchi».
Lampedusa negli occhi, le immagini di uomini, donne, bambini, il terrorismo che minaccia. Ma anche la crisi ha un ruolo nel rendere i giovani italiani preoccupati. «Parliamo di giovani che non possono progettare il proprio futuro con un discreto margine di serenità, non possono formare una famiglia e avere figli, come invece secondo la nostra ricerca loro desidererebbero. Infatti, nei Paesi come la Germania, dove la disoccupazione giovanile è meno forte, nonostante ci siano più stranieri, c'è una maggiore apertura, perché la sensazione di rischio è più sfumata».
I nostri giovani hanno paura della concorrenza di persone che arrivano in condizioni disperate e si accontentano più facilmente di lavori a basso costo. Ma temono anche la criminalità diffusa, che il 42,3 per cento degli intervistati segnala come il principale problema creato dagli immigrati. «Non ci sono tante differenze nelle risposte di maschi e femmine, c'è invece una differenza tra chi ha una situazione economica positiva e chi no. E l'età in cui è maggiormente presente questo sentimento di chiusura è tra i 24 e i 28 anni, una fascia in bilico, perché cercano una vita autonoma ma non hanno ancora trovato possibilità concrete».
I giovani percepiscono e segnalano una forte diffidenza degli italiani verso gli stranieri. Tra «diffidente» (42%) e «apertamente ostile» (15%) il dato è forte. E diventa più alto tra gli italiani che hanno almeno un genitore straniero. «Questa percezione di maggiore chiusura da parte di chi ha un genitore straniero è un segnale di disagio particolare delle seconde e terze generazioni di immigrati. Noi sappiamo che i terroristi arrivano proprio da questi contesti di relativa esclusione o di integrazione non completamente avvenuta. È il segnale di un disagio che va gestito.
Rispetto a Paesi come la Francia, con le banlieues, da noi c'è maggiore mescolanza e minore rischio di violenza perché diminuiscono ghettizzazione ed esclusione e così la radicalizzazione. In Italia si fa già tantissimo per l'integrazione degli stranieri, ma questi dati segnalano che bisogna ancora operare in modo che la pacifica convivenza sia sempre maggiore».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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