All'alternarsi di notizie negative e almeno in parte positive dalla Cina siamo ormai abituati, ma quest'ultima è decisamente scoraggiante: alcuni dei pazienti che erano stati dimessi perché considerati guariti dal coronavirus sono risultati nuovamente positivi a successivi esami, ed è stato necessario ricoverarli una seconda volta. E' accaduto a Wuhan, la metropoli capoluogo della regione dello Hubei dove l'epidemia ha avuto inizio circa due mesi fa, e le autorità sono perciò state costrette a imporre una doppia quarantena, con 14 giorni di isolamento obbligatorio anche per i pazienti guariti dal virus Covid-19, da trascorrere in centri appositamente designati.
Le altre notizie provenienti dalla Cina continuano a segnalare che a Wuhan e nello Hubei la situazione permane molto grave, giustificando più che mai la necessità di imporre l'isolamento a quasi tutta la regione, per un totale di circa 60 milioni di persone in drastica quarantena da ormai un mese. Misura che sembra confermare la sua utilità: sabato sono stati contati in tutta la Cina 648 nuovi contagi, e di questi solo 18 al di fuori dello Hubei, il numero più basso dall'inizio dell'epidemia. I morti ufficialmente registrati sono stati 97, e di questi solo uno fuori dalla regione in quarantena, a Canton: tra loro c'è una dottoressa ventinovenne, che lavorava in un ospedale di Wuhan ed era ricoverata dal 19 gennaio. Dallo scorso martedì, sottolineano le autorità cinesi, il totale quotidiano dei nuovi casi è sempre rimasto inferiore alla soglia di mille, il che pare incoraggiante. I numeri totali rimangono però impressionanti: oltre 77mila persone contagiate, con più di 2.400 morti, mentre un quinto degli ammalati si trovano in condizioni definite critiche.
Questa situazione ha spinto ieri il presidente Xi Jinping a dichiarare l'epidemia di coronavirus «la più grande emergenza sanitaria nazionale da quando esiste la Repubblica popolare cinese». Parlando in una videoconferenza estesa a 170mila funzionari di livello centrale e locale del partito comunista, Xi ha dovuto fare ammenda, un esercizio niente affatto comune nel regime di cui rappresenta il vertice. «Ci sono state delle lacune nella risposta al virus ha detto il leader cinese e dobbiamo imparare da queste lacune». Xi ha riconosciuto che la malattia provocata dal Covid-19 «è molto difficile da prevenire e da controllare», e che rappresenta «una vera crisi, una prova difficile per noi». La televisione ufficiale di Pechino parla senza mezzi termini di una «situazione ancora cupa e complessa, nella sua fase più critica». Ma se il fronte sanitario conosce enormi difficoltà, quello dell'economia rappresenta forse per la dirigenza cinese una preoccupazione ancor maggiore. Dopo tre settimane di chiusura forzata, le autorità hanno incoraggiato le fabbriche a tornare all'attività, ma i problemi sono numerosi e molto seri e l'industria fatica a ripartire. Le restrizioni dovute alla quarantena, ma anche le incertezze legate agli «stop and go» delle autorizzazioni governative, ostacolano la ripresa del lavoro: basti pensare che una ricerca condotta la scorsa settimana a Shanghai ha evidenziato che quasi l'80 per cento delle imprese non dispone di personale sufficiente.
Grandi eventi come il salone dell'auto di Pechino e una fiera a Guangzhou sono stati cancellati. I settori dell'economia cinese più danneggiati sono nel comparto manifatturiero, soprattutto elettronica, auto e componentistica dell'auto, con ricadute a cascata in tutto il mondo.
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