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Il trucco pentastellato per fare deragliare la linea Torino-Lione

I M5s fanno melina per indurre l'Europa a tagliare i finanziamenti all'opera

Il trucco pentastellato per fare deragliare la linea Torino-Lione

Quinto Fabio Massimo «Cunctator» ci ha vinto un paio di guerre. Allo stato maggiore pentastellato basta molto meno: la tattica di temporeggiare potrebbe bastare a portare in un vicolo cieco la Tav senza prendersi la responsabilità di dire un «no» esplicito e politicamente pesante. È il retroscena che emerge dagli ultimi sviluppi della trattativa sull'alta velocità Torino-Lione messa in standby dal ministro Danilo Toninelli con un post su Facebook.

Per arrivare a questa conclusione bisogna mettere insieme alcuni pezzi del puzzle che inizia con il colpo di scena di martedì sera: Toninelli annuncia di aver spedito a Telt, la società concessionaria dell'opera, una lettera in cui si chiede formalmente «che i bandi di gara non vengano pubblicati prima della fine del 2018». La lettera indirizzata al direttore generale di Telt Mario Virano, come il Giornale ha avuto modo di verificare reca la doppia firma di Toninelli e del ministro francese Elisabeth Borne. Le motivazioni sono espresse in modo sufficientemente vago, ma riportano la «presa d'atto» da parte della Francia, della volontà italiana di portare a termine la famosa «valutazione dei costi e benefici». Lo stop alle gare «conformemente alla richiesta dell'Italia», si ritiene necessario per evitare confusioni tra il lancio delle gare stesse e «lo svolgimento in corso della valutazione». «È stato convenuto - afferma ancora il documento - che la situazione venga rivalutata alla luce dei risultati degli studi». La Francia dunque accetta l'idea grillina della valutazione di costi e benefici, ma senza fissare scadenze certe.

E qui si innesta l'altro pezzo del puzzle che, stando a fonti vicine al dossier, compone la strategia grillina: prendere tempo restando sempre vaghi sulle scadenze. Sta di fatto che fino a ieri Luigi Di Maio ripeteva che la valutazione si sarebbe conclusa «entro l'anno». Ieri però, al termine dell'incontro con il vicepremier stesso, il premier Conte e Toninelli, le associazioni degli imprenditori piemontesi riferivano che Di Maio aveva preso l'impegno «che tutto finisca prima delle elezioni europee». Una scadenza che appare politicamente improbabile: è poco credibile che l'eventuale stop definitivo alla Tav o il sospirato via libera arrivino a ridosso delle elezioni. Un esito si trasformerebbe in un regalo elettorale ai pentastellati, l'altro diventerebbe un assist per la Lega. L'unica certezza è che dell'impegno sui tempo preso a voce da Di Maio, guarda caso, non c'è traccia nel comunicato stampa diramato da Palazzo Chigi dopo l'incontro con le associazioni piemontesi Sì Tav. A parte la promessa di «un'analisi tecnica costi-benefici, puntuale e non ideologizzata», i portavoce grillini parlano con straordinaria vaghezza di un «impegno ad agire in tempi congrui ma celeri». Il sospetto è che, nonostante nella lettera italo-francese, i governi si impegnino ad avvisare del ritardo l'Ue, che finanzierà il 50% dell'opera, ribadendo che intendono approfittare dei fondi, in realtà i continui rinvii siano mirati proprio a creare l'incidente con Bruxelles. I finanziamenti sono frutto di un bando e potrebbero far gola agli altri Paesi concorrenti. L'Unione non aspetterà per sempre. E se si andasse troppo in là il rischio di perdere i fondi potrebbe diventare concreto. Una manna per i grillini, che potrebbero far ricadere la colpa sulla perfida Unione ed evitare lo scontro con la Lega. E pazienza per «il partito del Pil».

Quello che vorrebbe l'Italia al lavoro.

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