Trump: "Biden corrotto". Un cavillo costituzionale per provare a farlo fuori

Tycoon al contrattacco. Ma è pronta una nuova battaglia legale per fermarne la candidatura

Trump: "Biden corrotto". Un cavillo costituzionale per provare a farlo fuori
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Donald Trump torna all'attacco ribadendo la chiara intenzione di trasformare i processi, la foto segnaletica e l'arresto nella sua migliore arma di comunicazione politica per le elezioni del prossimo anno. Nel mirino dell'ex presidente americano finisce questa volta il suo successore Joe Biden, contro cui il tycoon si scaglia affermando che «con il tempo le persone dimenticano! Tutte queste accuse e cause contro di me sono state avviate dal corrotto Biden e dai fascisti della sinistra radicale. È la loro arma preferita per le prossime elezioni - continua sul suo social Truth - Ritengono, infatti, che la leadership repubblicana non sia abbastanza forte da fermarli o fare qualcosa per contrastare le loro frodi. Ma io li fermerò, perché non abbiamo scelta, se non vinciamo, non avremo più un Paese».

Parole durissime, arrivate dopo che Biden ha commentato la foto segnaletica di Trump dicendo: «L'ho vista in tv, è un bell'uomo». L'inquilino della Casa Bianca tuttavia si guarda bene dal fare affermazioni riguardo le quattro incriminazioni di Trump, e anche sull'intervista trasmessa su X in concomitanza al primo dibattito tv dei candidati Gop ha dichiarato di «non averla vista, non mi interessava». The Donald, intanto, ha già trasformato l'immagine che lo ritrae con la testa leggermente inclinata in avanti, lo sguardo durissimo in segno di sfida, e il timbro dello sceriffo di Atlanta, in una formidabile arma di marketing per le presidenziali dell'anno prossimo. Per i suoi sostenitori Trump è un «eroe», vittima della persecuzione e della «caccia alle streghe» orchestrata dai democratici di Biden, e il team della sua campagna elettorale senza perdere tempo cavalca l'onda lanciando un appello a ogni «patriota» americano: «Lo Stato ombra sta cercando di fare del presidente Trump il nemico pubblico numero uno perché ha osato sfidare la classe dirigente corrotta di Washington», si legge in una dichiarazione inviata agli elettori in qui si denuncia la mug shot del tribunale, «che lo presenta come un criminale agli occhi di tutto il mondo». E allo stesso tempo, assicurando che Trump «non rinuncerà mai alla nostra missione di rendere di nuovo grande l'America», chiede donazioni in cambio dell'ormai iconica maglietta bianca con la foto segnaletica e lo slogan «Never Surrender», mai arrendersi. Mentre il figlio del tycoon Donald Jr pubblica sui social la mug shot del padre con un messaggio minaccioso: «Lo Stato ombra verrà a prendervi il 20 gennaio 2025», data dell'insediamento del prossimo presidente che sarà eletto il 5 novembre 2024.

Intanto sta prendendo forma una nuova battaglia legale contro Trump, oltre i quattro processi che dovrà affrontare a partire da quello in Georgia per il tentativo di ribaltare il risultato del voto nello stato, e poi a New York per i pagamenti all'ex pornostar Stormy Daniels, in Florida per le carte top secret portate a Mar-a-Lago, e a Washington per l'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio e per aver tentato di ribaltare il risultato delle elezioni. A parte i casi penali, infatti, nelle ultime settimane un crescente gruppo di studiosi conservatori ha sollevato una tesi costituzionale secondo cui a causa degli sforzi per ribaltare i risultati delle elezioni del 2020, Trump non sarà mai più idoneo a ricoprire una carica federale. Una motivazione che si basa a loro parere sulla sezione 3 del 14º Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, in base alla quale un pubblico ufficiale non è idoneo ad assumere un'altra carica pubblica se «si è impegnato in un'insurrezione o in una ribellione contro» il Paese, o ha «dato aiuto o conforto ai suoi nemici», a meno che non venga concessa l'amnistia con un voto di due terzi del Congresso. La tesi ha peraltro preso nuova spinta all'inizio di agosto quando due membri della conservatrice Federalist Society, William Baude e Michael Stokes Paulsen, l'hanno sostenuta sulle pagine della Pennsylvania Law Review.

E dopo di loro altri due studiosi di diritto, il giudice federale conservatore in pensione J. Michael Luttig e il professore emerito di diritto di Harvard Laurence Tribe, hanno presentato lo stesso caso in un articolo pubblicato su The Atlantic.

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