New York Scambi di accuse e minacce di azioni militari tengono banco nell'ennesimo capitolo del conflitto siriano, che da guerra per procura sta assumendo i contorni di scontro tra potenze. Sullo sfondo in un bilancio sempre più drammatico di vittime tra la popolazione civile. Una «decisione importante verrà presa nelle prossime 24-48 ore», tuona il presidente Donald Trump, che dopo il presunto attacco chimico a Duma ha puntato il dito contro il leader del Cremlino Vladimir Putin «per il sostegno all'animale Assad». E avverte di «un alto prezzo da pagare» per «l'odioso attacco» contro civili innocenti. Se dietro c'è «la Russia, la Siria, l'Iran o tutti loro insieme, lo scopriremo» aggiunge. Tra le ipotesi al vaglio potrebbe esserci quella di un blitz congiunto con la Francia: Trump si è sentito al telefono con il collega Emmanuel Macron, riferisce la Casa Bianca, e i due hanno concordato di «coordinare una forte risposta comune».
La notte scorsa è stato effettuato un raid aereo in una base siriana nel governatorato di Homs, dove sono morte 14 persone, e inizialmente la tv di stato ha ipotizzato si fosse trattato di un'operazione militare americana. «In questo momento il dipartimento della Difesa non sta conducendo attacchi aerei in Siria», commenta il portavoce del Pentagono, Chris Sherwood. Mosca afferma che non c'è traccia dell'uso di armi chimiche e il video diffuso dopo l'attacco è una bufala organizzata dai ribelli per provocare un intervento degli occidentali. Oltre ad accusare Israele di aver compiuto l'incursione contro la base aerea T-4. Secondo il ministero della Difesa l'attacco è stato effettuato da due caccia F15 dell'aeronautica israeliana con otto missili. E il ministro degli Esteri Sergej Lavrov mette in guardia gli Stati Uniti dal condurre raid militari in Siria: «Lo sapete, abbiamo degli obblighi nei confronti di Damasco». Gli Usa però ribadiscono che tutte le opzioni rimangono sul tavolo, e sulla possibilità di un'azione militare il capo del Pentagono James Mattis dice: «Non escludo nulla ora».
Intanto Trump si è riunito con i vertici militari alla Casa Bianca per discutere l'eventuale risposta, e dopo aver affermato la settimana scorsa di volersi ritirare dalla Siria, ora potrebbe cambiare i piani. Anche perché ieri si è insediato il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, il falco conservatore ex ambasciatore al Palazzo di Vetro che potrebbe convincere il commander in chief a rimanere per non lasciare il Paese nelle mani di Russia e, soprattutto, Iran (come sostenuto anche dal Pentagono).
Il braccio di ferro tra Washington e Mosca continua in Consiglio di Sicurezza Onu, dove si è tenuta una riunione di emergenza. Gli Usa chiedono una nuova inchiesta indipendente, con l'istituzione di una commissione per identificare i responsabili degli attacchi chimici, ma è improbabile che possa ottenere il via libera russo.
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