Il giorno dopo la clamorosa sfuriata a base di missili contro la Siria di Assad, Donald Trump si ritrova a incassare la collera crescente di Vladimir Putin, ma anche - quasi da tutto il resto del mondo - congratulazioni per ciò che ha fatto smentendo se stesso e incoraggiamenti a continuare su questa strada. Perfino John Kerry gli dedica un applauso virtuale. L'ex segretario di Stato di Barack Obama, campione della cautela nelle relazioni internazionali e restio quant'altri mai a far incarnare all'America il ruolo di gendarme del mondo, arriva a sostenere che «se eseguita correttamente ed in maniera chiara» l'azione militare «può contribuire a ridare energia al canale diplomatico» per arrivare ad un accordo di pace. Chissà cosa ne pensa il suo ex principale, l'uomo che tracciava linee rosse invalicabili e non faceva nulla dopo che Assad le superava sfrontatamente.
Trump ha appena il tempo di prendere volentieri atto del reiterato sostegno di Francia, Germania, Turchia e Arabia Saudita alla sua azione militare in Siria che già si delinea un nuovo, prevedibile fronte: quello nordcoreano. Il segretario di Stato Rex Tillerson si è assunto, dopo il vertice in Florida con Xi Jinping, il compito di inviare un chiaro messaggio alla Cina sul tema dell'altra grave crisi che Trump ha promesso di affrontare con la massima decisione: quella provocata dal piccolo ma preoccupante arsenale atomico di Pyongyang. «Saremmo felici di collaborare con i cinesi» su questo tema - ha detto il segretario di Stato americano - ma se Pechino «non sarà in grado o non vorrà aiutarci», faremo da soli. Con quali modalità è difficile immaginarlo, considerato che Kim Jong-un è un osso molto più duro di Bashar el-Assad: ieri il dittatore rosso di Pyongyang ha subito rilanciato condannando l'iniziativa militare di Trump e dicendo che «l'attacco americano in Siria giustifica mille volte la nostra scelta di dotarci dell'atomica». E dal suo punto di vista, ha certamente ragione.
«America great again» più che «America first», dunque: Trump sembra essersi reso conto che il secondo obiettivo non è conseguibile senza il ripristino del primo. Mano (quasi) libera ai generali, perciò, e grande ritorno del ruolo militare di Washington in giro per il mondo, anche se ciò dovesse costare il fallimento del dichiarato obiettivo di costruire una nuova intesa con Mosca. L'arrabbiatissimo Putin continua a minacciare gravi conseguenze per «l'attacco ingiustificabile a uno Stato sovrano» (evidentemente non considera tale l'Ucraina cui tre anni fa ha sfilato un'intera provincia annettendola alla Russia), ma l'ambasciatrice americana all'Onu ribadisce la nuova linea trumpiana: speriamo che non sia necessario, ha detto Nikki Haley, ma se Assad continuerà a usare armi chimiche «siamo pronti a fare di più». E già alla Casa Bianca si parla di nuove sanzioni contro il regime di Damasco.
Il rapporto con Mosca sembra essere la vittima principale della nuova incarnazione di un Donald Trump forse intenzionato ad allontanare da sé i fantasmi del Russiagate. Lo dice chiaro l'annuncio di «indagini» del Pentagono per stabilire un'eventuale «complicità russa» nell'attacco chimico su Khan Sheikun, che si sarebbe sostanziato in un attacco aereo russo su un ospedale siriano dove venivano portate le vittime del raid. Ma lo sottolinea anche la dichiarazione di Tillerson, che si dice «deluso ma non sorpreso» dalle reazioni russe che indicano «il continuo sostegno per un regime che conduce questo tipo di attacchi orrendi contro il suo stesso popolo».
Il quadro militare merita ancora attenzione in Siria. Ieri infatti, aerei siriani partiti dalla base di Al Shayrat sconquassata dai missili americani sono tornati a sganciare bombe sul villaggio di Khan Sheikun che ha appena finito di seppellire i suoi morti gassati: altre venti vittime in quello che sembra soprattutto un macabro avvertimento a Trump del genere «la guerra continua come prima». Va poi registrato l'annuncio del Belgio di «sospendere fino a nuovo ordine» la partecipazione dei suoi (pochissimi) cacciabombardieri alle missioni sui cieli siriani della coalizione a guida americana.
È la conseguenza dell'annuncio russo di interrompere l'accordo per il coordinamento militare con gli Usa, destinato a evitare incidenti: per il governo di Bruxelles, ciò rende troppo rischiosi i voli dei suoi jet militari. Un punto a favore di Putin.
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