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Tunisia nel caos, via il premier. Sospeso anche il Parlamento

Il presidente licenzia alcuni ministri. Dilaga la protesta. Schierato l'esercito. Il partito islamista al potere: è golpe

Tunisia nel caos, via il premier. Sospeso anche il Parlamento

La Tunisia ripiomba nell'incertezza e a dieci anni dalla primavera araba si riapre lo scontro fra l'anima laica e quella islamica. Con una mossa a sorpresa, nella tarda serata di domenica, il presidente Kais Saied ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi, ha congelato il parlamento per 30 giorni e privato i parlamentari dell'immunità. La stretta, che gli oppositori chiamano «golpe», è arrivata dopo giorni di proteste contro il governo, e il partito islamista Ennahda, per la crisi economica e la gestione disastrosa del Covid. «Stiamo assistendo a una delle situazioni più minacciose nella storia della Tunisia», ha detto Saied in un discorso televisivo. «Abbiamo preso queste decisioni fino a quando non tornerà la pace sociale in Tunisia e fino a quando non salveremo lo Stato», ha precisato. In seguito si è unito alla folla a Tunisi. Ha anche promesso di rispondere a ulteriori violenze con la forza militare. «Avviso chiunque pensi di ricorrere alle armi: le forze armate risponderanno con i proiettili», ha puntualizzato.

Il presidente del Parlamento, e leader di Ennahda, Rachid Ghannouchi ha accusato Saied di aver organizzato «un colpo di stato contro la rivoluzione e la costituzione» e ha invitato il popolo tunisino a difenderli entrambi. Ha parlato davanti al palazzo della Camera dopo che le forze di sicurezza gli hanno impedito di entrare nell'edificio.

Secondo la costituzione, il presidente sovrintende solo all'esercito e agli affari esteri. Il presidente però ha citato l'articolo 80 della costituzione per le sue azioni. Sostiene che gli è permesso sospendere il Parlamento in caso di «pericolo imminente». Ma l'opposizione lo contesta e il quadro giuridico e politico non è chiaro. La costituzione del 2014 prevede l'istituzione di un tribunale speciale per decidere disaccordi come questo. Ma non è stato creato. La rabbia dei tunisini parte da lontano. Non è solo per la gestione da parte del governo di un massiccio recente picco di casi di Covid ma è legata anche ai disordini generali per le turbolenze economiche e sociali della nazione.

Ieri sono proseguiti gli scontri tra gruppi rivali. Si sono lanciati pietre l'un l'altro fuori dalla Camera, barricata dall'esercito. La sede di Ennahda, il partito islamista moderato, nella città sud-occidentale di Touzeur è stata incendiata. Saied, che è un indipendente, ha avuto un conflitto di lunga data con Mechichi. Ma Mechichi ha il sostegno di Ennahda. Pure la tivù Al-Jazeera, vicina alla Fratellanza musulmana e a Ennahda, è stata presa di mira. Le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nei suoi uffici a Tunisi, scollegando tutte le apparecchiature e dicendo al personale di andarsene.

La rivoluzione tunisina del 2011 è spesso considerata l'unico successo delle rivolte della Primavera araba in tutta la regione. Ha partorito solo qui una democrazia, ma non ha portato alla stabilità economica o politica. Il ministro della Salute è stato licenziato la scorsa settimana dopo un pasticcio nella vaccinazione contro il Covid-19. I decessi legati al coronavirus hanno raggiunto un record la scorsa settimana, superando i 300 in 24 ore. La Tunisia ha uno dei tassi di mortalità pro capite più alti al mondo. Solo il 7 per cento circa della popolazione è stato completamente vaccinato, secondo i dati della Johns Hopkins University.

Ma il Covid è solo uno dei fattori dei disordini. La Tunisia ha avuto dieci governi dalla rivoluzione, molti di breve durata e divisi. I problemi della disoccupazione e delle infrastrutture statali fatiscenti che erano alla base della rivolta non sono mai stati risolti. Il Paese ha un deficit di bilancio e problemi di rimborso del debito che potrebbero richiedere un nuovo prestito dal Fondo Monetario Internazionale. Le misure di austerità necessarie - il taglio della spesa pubblica e l'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità - per sbloccare nuovi finanziamenti però avrebbero un impatto troppo pesante.

Potrebbero comportare la perdita di posti di lavoro statali e la riduzione dei sussidi alle merci.

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