Tutti d'accordo: «È stato l'Isis» Ma la piazza assedia Erdogan

Sciopero e scontri in tutto il Paese, due bambini morti «Alle elezioni del 1° novembre rovesceremo il dittatore»

Ankara piange i suoi morti e attraverso l'hashtag #HayatiDurduruyoruz («fermiamo la vita») una parte della Turchia ha scelto di percorrere la strada dello sciopero per manifestare vicinanza alle famiglie colpite dal vile attentato di sabato. Purtroppo però la protesta e la rabbia non sembrano placarsi. La folla accusa il presidente Erdogan e il governo di non aver saputo evitare la strage, non garantendo la sicurezza della manifestazione. «I nostri cuori sanguinano, ma non agiremo con spirito di vendetta od odio» scrive su Twitter Selahattin Demirtas, capo del Partito democratico dei popoli filocurdo. «Aspettiamo il 1 novembre per rovesciare il dittatore» ha aggiunto riferendosi alle imminenti consultazioni elettorali, «L'assassino Erdogan dovrà dare conto» gli slogan dei manifestanti prima di essere dispersi dalla polizia antisommossa con cannoni ad acqua e veicoli blindati. Gli incidenti si susseguono, e dopo le bambine di tre e nove anni uccise negli scontri scoppiati domenica nella provincia di Diayarbakir (sud-est del Paese), ci sarebbero altri feriti nel distretto centrale di Seyhan, dove la polizia ha attaccato i manifestanti anche con gli spray al peperoncino. Tutto questo mentre una linea della metropolitana di Ankara è stata chiusa per un sospetto allarme bomba.

Le attività investigative procedono nella direzione di una responsabilità del terrorismo islamico. La convinzione che sia stata la mano dell'Isis ad aver assestato il colpo vigliacco è pressoché totale. Ne è convinto il premier Ahmet Davutoglu: «Se si guarda alle modalità con cui è stato compiuto questo attentato, consideriamo che le indagini sull'Isis debbano essere la nostra priorità», ha rivelato. Il bilancio più aggiornato parla di 97 morti (91 identificati) e di 400 feriti (128 in gravi condizioni). Sotto il profilo politico le forze di opposizione hanno chiesto la testa del premier Davutoglu e del ministro degli interni Altinok, responsabili a loro dire di non aver garantito misure di sicurezza adeguate al corteo pacifista. In realtà ha di nuovo vinto la strategia dei lupi solitari perpetrata dal califfo Al Baghdadi. «Individuare e fermare un kamikaze è come trovare un ago in un pagliaio. É praticamente impossibile controllare tutto, non possiamo trasformare un paese democratico in uno stato di polizia» ha spiegato il ministro della difesa Vecdi Gonul.

Il presidente Erdogan dal canto suo difende il lavoro dell'esecutivo e si consulta con i vertici dell'intelligence di Ankara. Da quanto trapelato gli uomini del Mit (Milli Istikbarat Teskilati) avrebbero isolato il Dna di due attentatori, escludendo che uno dei due terroristi sia una donna. Il Dna trovato sui resti dell'ordigno è stato confrontato con quello delle famiglie di 20 turchi inclusi dalle autorità nella lista di potenziali kamikaze. Sarebbero invece solo supposizioni dei media le notizie secondo cui uno degli attentatori possa essere Yunus Emre Alagoz, fratello maggiore di Abdurrahman, l'artefice della strage di Suruc, in cui il 20 luglio vennero trucidati 33 attivisti filo-curdi. L'unica convergenza riguarda l'esplosivo di tipo tnt utilizzato in entrambi i casi.

In ambito internazionale il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha redatto una nota nel libro di condoglianze firmato all'ambasciata turca a Mosca: «La situazione richiede sforzi comuni nella lotta al terrorismo internazionale nel pieno rispetto degli accordi raggiunto dai presidenti Putin ed Erdogan».

Da Berlino la cancelliera Angela Merkel ha confermato che domenica volerà ad Ankara per incontrare Erdogan e il premier Davutoglu. Si parlerà dell'attentato, della situazione in Siria e dell'emergenza profughi.

di Luigi Guelpa

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