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Tutti d'accordo sulla pace in Siria ma non si sa cosa fare di Assad

Per i francesi deve sparire, per gli inglesi può restare (ma per poco) Il vero problema però è di chi, tra gli oppositori, ci si può fidare

Tutti d'accordo sulla pace in Siria ma non si sa cosa fare di Assad

Rolla ScolariLa risoluzione del Consiglio di Sicurezza su una road map per la pace in Siria è un inatteso passo diplomatico verso una risoluzione della guerra in Siria, e una rara manifestazione di unità delle potenze mondiali coinvolte nel conflitto. É soprattutto l'accordo tra Russia e Stati Uniti - nazioni schierate su due fronti diversi in Medio Oriente - a rappresentare un segnale significativo. Eppure, c'è un enorme non detto nella risoluzione delle Nazioni Unite che pone dubbi sui destini dei prossimi negoziati. Non c'è infatti accenno nel documento a quali saranno le sorti del rais Bashar El Assad. L'inclusione del presidente siriano o nella transizione politica o addirittura nel futuro politico del Paese è la questione principale che dall'inizio del conflitto in Siria oppone le nazioni coinvolte sia diplomaticamente sia militarmente nella crisi in Medio Oriente, che dal 2011 ha causato la morte di 250mila persone. «Rimangono ovviamente differenze profonde tra la comunità internazionale soprattutto sul futuro di Bashar El Assad», ha spiegato venerdì il segretario di Stato americano John Kerry. Russi e iraniani, i più robusti alleati del regime di Damasco, insistono da mesi sulla necessità che il rais resti in scena, che sia il popolo siriano a decidere del suo futuro attraverso elezioni. Il testo appena approvato dal Consiglio di Sicurezza prevede l'inizio dei colloqui tra opposizioni e regime a gennaio, la formazione di un governo di unità nazionale e l'organizzazione del voto. Anche quel testo non affrontava il nodo centrale dei destini del presidente siriano. I francesi, come gli americani, non vedono alcuna possibilità che Assad possa avere un ruolo nell'avvenire del suo Paese. Il ministro degli Esteri di Parigi, Laurent Fabius, in seguito al raggiungimento dell'accordo delle Nazioni Unite, ha spiegato come «i negoziati avranno successo soltanto se ci saranno garanzie sull'uscita di scena» del leader siriano. «Come può quest'uomo unire un popolo che è stato in parte massacrato? L'idea che possa ancora una volta presentarsi alle elezioni è inaccettabile per noi». La Gran Bretagna, che da poco ha iniziato accanto a Francia e Stati Uniti a bombardare postazioni dello Stato islamico in Siria e Iraq, ha sulla questione una posizione intermedia: Assad può restare durante una transizione politica temporanea, ma non potrà avere un ruolo sul lungo termine. C'è un altro cruciale non detto che ha peso nel futuro della risoluzione. I negoziati prevedono la partecipazione di opposizioni e anche gruppi che combattono sul terreno. Non c'è però ancora unità tra i Paesi coinvolti nella stesura del documento - una questione tra l'altro aperta da mesi - su quali siano i movimenti da considerare interlocutori e quelli da etichettare come terroristi. Nella lista degli esclusi ci sono senza dubbio lo Stato islamico e Jabhat al Nusra, filiale siriana di Al Qaeda. Il governo giordano, sotto indicazione del gruppo internazionale che a Vienna ha stilato la prima bozza di accordo verso la risoluzione, lavora da mesi alla stesura di una lista di gruppi da invitare ai negoziati, ma è chiaro che ci sono ancora differenze e divisioni tra la comunità internazionale. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha già fatto sapere che per Mosca la lista su cui lavora Amman è contraddittoria. Durante una recente conferenza a Riad, Arabia Saudita, è stato inoltre creato un comitato che mette assieme alcuni gruppi attivi sul territorio siriano. Il suo presidente, prima della firma del Consiglio di Sicurezza, ha dichiarato di rifiutare comunque negoziati prima dell'uscita di scena di Assad.

@rollascolari

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