Taglio dell'Irpef, taglio del cuneo fiscale, flessibilità del pensionamento. Quanti progetti sono nell'agenda del presidente del Consiglio, Matteo Renzi! Trascurando l'innata tendenza a trasformare tutte le sue affermazioni in una vana autopromozione e ammettendo che tali proposte diverranno efficaci, si può già affermare qualcosa: dietro questo fumo probabilmente ci sarà poco arrosto.
Basta partire dalla sortita mediatica del #matteorisponde di mercoledì sera. «Dobbiamo dare una mano al ceto medio e alle famiglie, stiamo discutendo come, se attraverso le aliquote Irpef o un sistema fiscale diverso: è un'assoluta priorità», ha detto precisando che «stiamo lavorando alla versione 2.0 della voluntary disclosure e con quei soldi potremo dare una mano». Il provvedimento è in rampa di lancio, sebbene in fase di limatura, e assomiglierà molto alla sua prima versione (sanzioni ridotte ma tasse pagate per intero sulle attività detenute all'estero) consentendo di «coprire» anche il 2015-2016. Il potenziale incasso sarebbe attualmente stimato in 1-2 miliardi, la metà circa dei 3,5 miliardi recuperati l'anno scorso. Volendo essere proprio generosi con Matteo e ipotizzando introiti paragonabili a quelli del 2015, il taglio Irpef che ne seguirebbe sarebbe modesto perché già tagliando di un punto percentuale le aliquote intermedie Irpef del 27 e del 38% si volatizzerebbero 3 miliardi traducendosi in sconti da un centinaio di euro per la maggior parte dei contribuenti. Insomma, al netto dell'effetto sorpresa, i vantaggi sarebbero 10 euro al mese in più in busta paga.
Lo stesso discorso vale per l'anticipo pensionistico o Ape, secondo l'acronimo inventato dal premier. «È previsto che sia fino a tre anni e sarà poi ripetuto in modo da lasciare spazio alla classe di età successiva», ha spiegato di recente il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. In buona sostanza, se l'anno prossimo potranno pensionarsi in anticipo i nati tra il 1951 e 1953, nel 2018 potranno uscire dall'attività lavorativa quelli delle classi '52-'54 e così via. Il costo massimo per lo Stato è di un miliardo all'anno ed è rappresentato dal pagamento degli interessi sul prestito pensionistico che banche e assicurazioni dovrebbero concedere a chi sceglie di ritirarsi prima. La riforma Fornero, che tanto piace all'Europa, verrebbe solo un po' intaccata e il bilancio pubblico non avrebbe scossoni. Un palliativo e non certo una soluzione definitiva per consentire una libera scelta.
D'altronde, questo governo è abituato alle fughe in avanti e alle retromarce. «Valuteremo in sede di legge di Stabilità l'ipotesi di anticipare al 2017 un taglio strutturale del cuneo in modo da rendere meno costoso il lavoro a tempo indeterminato», ha sottolineato ieri Poletti sancendo il flop del bonus per i neo assunti nella versione light del 2016 (-77% di nuovi posti quest'anno). Un taglio strutturale sarebbe anche una risposta giusta anche se non si sa come sarà articolata.
Matteo Renzi, però, è già oltre a inventare qualcosa di nuovo ma anche d'antico. Come la sua ultima dichiarazione.
«Non consideriamo l'Italia come uno studente e gli altri sono insegnanti», ha detto incontrando il collega olandese Mark Rutte. «Qui non siamo a scuola, siamo convinti della qualità di questo cambiamento», ha aggiunto elogiando le proprie riforme. Sul debito pubblico, che interessa l'Europa, ha preferito sorvolare. Il ragazzo è fatto così.
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