Uccide la moglie a martellate. Poi si costituisce

L'uomo ha chiamato i carabinieri: «Non voleva darmi i soldi per la cocaina, ho perso la testa»

Uccide la moglie a martellate. Poi si costituisce

Roma Ancora un femminicidio. Movente: droga. «L'ho ammazzata io. Non voleva comprarmi la coca, allora ho preso una piccozza e le ho fracassato la testa». Si voleva suicidare Emanuele Riggione, 47 anni, camionista di Terracina che dopo aver assassinato l'amica che lo ospitava da mesi nel quartiere Statuario, Appio-Pignatelli, si è costituito nella caserma dei carabinieri di Latina. Ha vagato, sconvolto e zuppo di sangue, per tutta la notte Riggione. Chi l'ha incrociato fra domenica e lunedì, ha pensato di assistere a un film dell'orrore. Invece era tutto vero: l'ennesima vittima di una mattanza senza fine si chiamava Elena Panetta, 57 anni, anche lei tossica. La donna aveva accolto il suo carnefice nell'appartamento al 27 di via Corigliano Calabro in un momento di difficoltà economica. L'uomo, separato e con due figli, aveva anche perso il lavoro, autotrasportatore in una ditta privata, e si arrangiava con furtarelli e ricettazione. Il suo problema più grande, però, era la dipendenza dalla droga.

E quando, l'altra notte, la poveretta gli ha negato altra «roba» lui non ci ha visto più. Afferrata una piccozza da alpinista, l'ha colpita ripetutamente alla testa fracassandole il cranio. «Un delitto di una violenza estrema - spiega il comandante dei carabinieri di Latina, colonnello Gabriele Vitagliano -, tanto da spaccare il manico dell'arma. Ma all'assassino non è bastato colpirla con questa, le ha inferto altri colpi con un coltello e con una forza tale da spezzare la lama». Poi, in preda a un raptus, ruba l'auto della donna e si dirige a sud, fuori Roma, lungo la statale Pontina. Forse voleva nascondersi dalle sue parti. Qui probabilmente, come dirà ai carabinieri di Latina, il maresciallo Di Muro e il tenente Calabresi che lo hanno convinto a raccontare tutto, avrebbe voluto togliersi la vita. Di fatto ieri mattina si presenta in caserma e dopo alcune ore confesserà il delitto. «Ero in astinenza, mi è preso il matto e l'ho ammazzata», ha detto al pm che lo ha poi interrogato. «Abbiamo allertato i colleghi del provinciale di Roma - conclude il colonnello Vitagliano - e con loro siamo entrati in casa trovando la donna massacrata». In serata Riggione è stato portato nel carcere di Latina.

Una storia di follia e tossicodipendenza, questa, ma che riporta alla mente la tragedia avvenuta sempre a Latina il 28 febbraio scorso quando il carabiniere Luigi Capasso, dopo aver ucciso la moglie, Antonietta Gargiulo e le figlie Martina e Alessia, si tolse la vita.

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