Una possibile crisi dei missili rischia di complicare la già tesa situazione tra Russia e Occidente. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto agli Stati Uniti che in queste settimane già hanno inviato importanti forniture di armi difensive a Kiev di inviare batterie di intercettori antimissile Thaad per consentire alle forze armate dell'Ucraina di schierarle a difesa di Kharkiv, la seconda città del Paese dopo la capitale, che si trova a poche decine di chilometri dal confine russo. I Thaad rappresentano il meglio della difesa antimissile disponibile in Occidente, e sono utilizzati tra gli altri da Israele e schierati in Paesi Nato come Turchia e Romania. La Casa Bianca non ha ancora risposto alla richiesta di Zelensky, ma Mosca ha subito reagito con toni molto duri: il viceministro degli Esteri Aleksandr Pankin ha ammonito gli americani a «non fare niente di stupido, a non spingere la situazione in un vicolo cieco da cui sarebbe poi difficile uscire». L'altro numero due della diplomazia di Mosca, Sergei Riabkov, ha a sua volta parlato di «provocazione con un elemento di ricatto e pressione su di noi».
A Mosca temono in realtà che le batterie di Thaad e i relativi sistemi radar vicino al loro confine materializzino il loro incubo: il possibile schieramento di un sistema di spionaggio militare americano in grado di «vedere» all'interno del territorio russo per un migliaio di chilometri. Anche se sentir parlare i russi di «ricatto e pressione» contro di loro nel momento in cui schierano oltre centomila militari in assetto di guerra al confine ucraino non sembra un esempio di obiettività. Oltre tutto, nelle ultime ore sono giunte nel mar Nero dai mari del Nord sei navi da sbarco russe cariche di carri armati, che potrebbero essere utilizzate per un assalto a Odessa, il principale porto dell'Ucraina.
Mentre in Occidente ci si continua a interrogare sulla reale volontà di Putin di aggredire l'Ucraina, le diplomazie continuano a lavorare. Ieri, per la prima volta in quattro anni, un ministro degli Esteri britannico è sbarcato a Mosca: una risoluta Liz Truss ha chiarito al collega russo Sergei Lavrov che Londra si aspetta da Putin che scelga la diplomazia al posto della forza, pena conseguenze gravissime. Oggi il premier Boris Johnson farà visita ai militari britannici inviati a sostenere la Polonia, poi incontrerà a Bruxelles il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Domani, infine, il ministro della Difesa Ben Wallace andrà a Mosca per colloqui. Questo mentre si sviluppano gli effetti dell'incontro di lunedì scorso tra Macron e Putin. Macron insiste su un aspetto chiave della crisi russo-ucraina: l'attuazione degli accordi di Minsk del 2015 per giungere alla pace nel Donbass.
Non è un caso se questi accordi, mediati da Francia e Germania, sono lettera morta. Mosca e Kiev ne danno letture diversissime: Putin insiste per la loro applicazione perché vi vede un modo per allontanare l'Ucraina dal campo occidentale, ma Zelensky pretende prima il ritiro delle forze filorusse dal Donbass occupato e respinge l'idea di un'Ucraina federale che darebbe di fatto a Mosca il diritto di entrare nel suo governo e quindi voce nell'orientamento internazionale di Kiev.
C'è infine la questione delle forniture di gas russo all'Europa.
In Germania soprattutto c'è preoccupazione perché le riserve sono scese al 35% del potenziale di stoccaggio: compiuta da Angela Merkel la follia di chiudere quasi tutte le sue centrali atomiche, Berlino dipende da Mosca per oltre metà delle sue necessità energetiche, mentre gli Usa premono per lo stop al nuovo gasdotto. E con i Verdi al governo, considera come unica alternativa il potenziamento delle fonti rinnovabili (pulite ma insufficienti): un bel rebus.
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