Gli ucraini d'Italia fra piazze e chiese

Code ai consolati, sit-in e preghiere. E c'è pure chi chiede asilo politico

Gli ucraini d'Italia fra piazze e chiese

In coda davanti ai consolati, chi per tornare a combattere in patria chi per chiedere un impossibile asilo politico. Oppure riuniti nelle piazze d'Italia a protestare contro l'invasore. È il popolo degli ucraini «italiani». A Milano, in piazza della Scala, ieri erano in mille a chiedere pace. Accanto agli adulti, tanti bambini. Molti in lacrime, perché vedono le facce tristi dei «grandi». Certo capiscono che qualcosa di «sbagliato» sta accadendo; non afferrano per intero il significato della parola «guerra», ma percepiscono la paura, le famiglie divise, gli affetti disgregati dietro ai cartelli: «Aiutateci».

E per mille che protestano, ben di più si riversano nelle chiese a pregare, invocando un intervento divino che ponga fine alle follie umane. Un'onda di mani giunte. Chi per il «figlio che è partito per la guerra»; chi per la «famiglia rimasta in patria in balìa dei missili»; chi per «il proprio popolo che rischia di perdere la libertà». In grandissima parte donne, colf e badanti che nel nostro Paese svolgono un lavoro delicato e prezioso: assistere i più deboli, a cominciare dagli anziani. Da ieri, finiti i loro turni di lavoro, si ritrovano nelle chiese. A nome di tutte loro parla un prete speciale, don Volodymyr Voloshyn, parroco della chiesa ucraina di Firenze, che accoglie decine di fedeli «italo»-ucraini: «Vogliamo invitare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad unirsi a noi ucraini in questa preghiera speciale. Vogliamo che il nostro unanime grido di preghiera per la pace si levi alto e perché possa giungere al cuore di tutti affinché tutti depongano le armi e si lascino guidare dall'anelito di pace». E poi: «C'è grande preoccupazione nella nostra comunità formata soprattutto collaboratrici domestiche che vivono una vita difficile di reclusione nelle case, si tengono informate attraverso internet ma si sentono impotenti perchè dall'Italia non possono fare niente». Quando don Volodymyr scandisce le parole, nella chiesa cala il silenzio e i volti si rigano di lacrime: «Uniamoci in preghiera che è più forte di qualsiasi arma moderna. Che Dio preservi la pace in Ucraina e nel mondo intero. Siamo molto impauriti, la guerra porterà soltanto morti e centinaia di migliaia di sfollati che si aggiungono ai precedenti profughi che noi non saremo in grado di gestire». Una situazione psicologicamente terribile per le donne ucraine che vivono in Italia: «Molte di loro vivono in attesa della domenica, il giorno in cui arrivano da me per sfogarsi, per confessarsi, per piangere, per pregare insieme, per trovare qualcuno che li ascolti.

E adesso con la guerra alle porte e i loro familiari potenzialmente a rischio, le loro condizioni sono ulteriormente peggiorate». Per tutte la speranza è che «Putin torni sui propri passi». Più che una speranza, un'illusione.

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