La Ue non ricolloca i profughi ma la colpa è sempre nostra

Ogni scusa è buona per scaricare il problema migranti su Italia e Grecia, mentre l'Unione non rispetta i patti

La Ue non ricolloca i profughi ma la colpa è sempre nostra

Lassù qualcuno non ci ama. E ce lo fa sapere con il consueto puntiglio ipocrita delle istituzioni europee. È zeppo di critiche all'Italia il report sui ricollocamenti dei migranti che precede il voto di una risoluzione mirata a pungolare gli Stati che due anni fa si sono impegnati ad accogliere 160mila richiedenti asilo da Italia e Grecia. L'obiettivo è stato poi ridimensionato a 98.000, di cui 32.000 dall'Italia. Da settembre 2015 a oggi da Roma ne sono partiti solo 5.700. Impossibile rispettare la scadenza di settembre 2017. E secondo l'Europarlamento è anche colpa nostra.

La sensazione è che Bruxelles, accusando noi e la Grecia, si stia precostituendo una giustificazione per il flop di un piano con il fallimento incorporato. Il movente politico è chiaro: Italia, Grecia volevano cambiare il trattato di Dublino che scaricava tutto il peso dell'asilo sui Paesi di frontiera. Come contentino, spacciato per grande trionfo dal governo Renzi, gli è stato dato invece il meccanismo impossibile dei ricollocamenti.

Secondo il report, l'Italia ha una lunga serie di colpe. I tecnici dell'Europarlamento ce le appiccicano mostrando pure un certo gusto per la battuta, sottolineando che la prima parola che gli immigrati imparano in Italia è «aspetta». Il che prova se non altro che da noi non c'è discriminazione: è la stessa parola che imparano tutti gli italiani che hanno a che fare con la pubblica amministrazione. Le critiche, lentezza delle procedure, impreparazione degli uffici, mancanza di coordinamento, sono tutte realistiche. Da rilevare poi che l'accoglienza diffusa, di cui il nostro governo fa vanto, è considerata dal report un ostacolo perché rende più complessi gli spostamenti dei migranti verso Roma, unica sede per le partenze verso l'estero, e gli accertamenti medici.

Il governo italiano per convenienza politica sbandiera una politica di accoglienza indiscriminata che, come è ormai chiaro, serve in realtà a distribuire al mondo della cooperazione oltre 3 miliardi di euro l'anno di denaro pubblico. Che importa se poi i migranti vengono tenuti in baracche indecenti o se ne muoiono 4-5.000 l'anno durante la traversata. L'importante è poter dire che noi siamo buoni.

Intanto solo il 20 per cento degli immigrati viene accolto in centri Sprar, cioè strutture che seguono un preciso progetto di gestione del fenomeno migratorio. Il restante 80 per cento viene alloggiato in centri cosiddetti di emergenza, come se l'ondata migratoria fosse un fenomeno recente e improvviso e non una consolidata tendenza in atto ormai da sette anni. Ma se gli italiani hanno pieno diritto di criticare i responsabili di questo disastro, è inaccettabile che a fare le pulci al nostro Paese sia un'istituzione, l'Unione europea che fin qui si è limitata a delegarci il problema. E basta leggere un altro report, quello periodico della Commissione europea, per scoprire che a ostacolare il piano è soprattutto l'egoismo degli altri Paesi membri.

Nel documento dello scorso aprile, si denuncia che la Spagna vuole scegliere i migranti da ospitare per nome e cognome, la Germania continua a rifiutare i migranti che hanno parenti in Italia, Francia, Slovacchia e Lituana forniscono preferenze troppo mirate, la Bulgaria non vuole gli eritrei. Ogni scusa è buona per non tenere fede alla parola data, sia per i singoli Stati che per l'Unione.

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