Sul sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, «l'Unione europea rischia di sgretolarsi», aveva avvisato il ministro dell'Economia tedesco Robert Habeck, alla vigilia del Consiglio europeo straordinario dei capi di Stato e di governo di ieri a Bruxelles. In extremis, dopo oltre tre settimane di rinvii e tre estenuanti giorni di trattative fra gli sherpa, alla fine in mattinata si è trovato il compromesso tra gli ambasciatori dei 27 Paesi membri. Unità, ma con eccezioni, sullo stop al petrolio russo. Con una deroga per l'Ungheria e altri Paesi dell'Europa centro-orientale. Eppure sulla decisione, che attende il via libera unanime dei leader, pende ancora il possibile veto del presidente ungherese Viktor Orbán, che intanto ne ha approfittato per prendere a schiaffoni l'Unione europea e il metodo con cui procede. Tanto che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha ammesso ieri pessimista: «Sono stati fatti passi avanti, ma non siamo ancora alla meta. Ho aspettative basse su un accordo nelle prossime 48 ore».
Secondo l'intesa di massima, l'import di petrolio russo scatterà vietando prima le importazioni di greggio per nave e solo in una seconda fase quelle per oleodotto. Questo garantirà a Ungheria e Slovacchia di avere più tempo per affrancarsi da Mosca, fino a fine 2023. Solo in un secondo momento si procederà con il blocco al petrolio dagli oleodotti, tra cui quello dell'Amicizia (Druzhba), che collega la Russia a Ungheria e Germania. Orbán ha ottenuto la soluzione che chiedeva ma ha rilanciato e ne ha approfittato per bastonare la Ue e gettare la croce sulla Commissione europea e il suo «modo di fare irresponsabile». «Ha presentato il sesto pacchetto di sanzioni senza prima avere l'accordo degli Stati membri», è l'accusa. «Servono prima le soluzioni, poi le sanzioni», ha lamentato il leader ungherese, che se la prende con Bruxelles per aver cercato la quadra con gli Stati solo dopo aver già deciso come colpire Mosca. «Ma l'energia è troppo importante - ha commentato Orbán -. Non possono lanciare una bomba nucleare sull'economia dell'Ungheria». L'ulteriore garanzia chiesta dal leader di Budapest è stata chiara fin dal suo arrivo al vertice: «In caso di incidente nell'oleodotto che passa attraverso l'Ucraina, dobbiamo avere il diritto di ricevere il petrolio russo da altre fonti».
Chi ha annunciato di avviarsi verso l'affrancamento dalle fonti energetiche russe è invece la Germania di Olaf Scholz, al lavoro - dice il cancelliere - per «diventare indipendente dal carbone russo entro l'autunno» e dal petrolio «entro la fine dell'anno». Idem per la Polonia, che ha assicurato entro fine anno lo stop al greggio del Cremlino. E la tensione con Mosca si alza. Il colosso russo dell'energia, Gazprom, ha annunciato che sospenderà il gas all'olandese GasTerra, dopo il rifiuto di pagare in rubli. E destino identico potrebbe toccare oggi alla Danimarca, dopo il no, non previsto dagli «obblighi contrattuali», del gruppo danese Orsted.
Sul tavolo dei leader, riuniti ancora oggi, c'è anche la missione navale Ue per scortare il grano dai porti ucraini e il pacchetto da 9 miliardi per la ricostruzione. Charles Michel, presidente del Consiglio Ue, ha promesso a Volodymyr Zelensky, intervenuto in video: «Aumenteremo la vostra liquidità e vi aiuteremo a ricostruire».
Il leader ucraino ha esortato l'Europa a restare compatta sulle sanzioni: «Altri bimbi muoiono in Ucraina. La Russia percepisce solo il potere come argomento. È tempo di non essere frammentati, ma uniti». Quanto all'adesione: «Non ci sarà mai una potenza europea senza l'Ucraina nell'Ue».
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