I l lander dell'Esa, Schiaparelli, con ogni probabilità si è schiantato sulla superficie marziana. Ecco perché non è in grado di comunicare con noi. Al momento è impossibile stabilire la causa dell'incidente, ma quel che è certo è che fino a un minuto prima di giungere su Marte era in ottime condizioni. Poi? Un'avaria al computer, ai retrorazzi, all'altimetro; difficile dirlo. Occorrerà del tempo per fare luce sulla fine di Schiaparelli, tenuto conto che non è ancora detta l'ultima parola, e che un segnale potrebbe ancora arrivare. Ma le speranze si riducono di ora in ora.
Paolo Ferri, direttore delle operazioni di volo delle missioni dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), ha detto che tutto ha funzionato alla perfezione fino al distacco dello schermo posteriore del paracadute, la penultima fase dell'ammartaggio. «A quel punto l'accensione dei retrorazzi ha funzionato solo per tre secondi, poi il computer di bordo ha deciso di spegnerli». Potremo saperne di più quando saremo in grado di codificare i messaggi che sta inviando il Tgo (Trace Gas Orbiter), la sonda che continua a girare intorno al pianeta rosso e che proseguirà la sua avventura fino al 2020; anno in cui entrerà in scena un nuovo rover destinato a «cavalcare» le dune marziane.
A Darmstadt, in Germania, dove sorge il centro di controllo della missione, si respira l'amarezza di un'operazione non andata a buon fine, tuttavia nessuno se la sente di recriminare qualcosa, anche perché il silenzio è sopraggiunto una manciata di secondi prima dell'ammartaggio, davvero, una beffa. «Il lander era operativo quando ha attraversato gli strati più alti dell'atmosfera e ha aperto il paracadute», dice Andrea Accomazzo, direttore della Divisione per le missioni planetarie dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa). D'altra parte, non è un caso che si parlasse dei fatidici «sei minuti di terrore»; proprio quelli in cui si è verificato l'impatto fra il lander Schiaparelli e la superficie di Marte. Aspetto dell'esplorazione spaziale ancora tutto da verificare. Lo testimonia il fatto che gran parte dei fallimenti delle missioni su Marte sono avvenuti in questa fase.
La prima risale agli anni Sessanta. I russi spedirono cinque sonde in pochi anni: nessuna centrò l'obiettivo. Ci riuscirono gli americani con Mariner 4, dopo il fallimento di Mariner 3. Nel 1971 mapparono l'85% della superficie di Marte, ma furono fortunati, perché non previdero i rischi connessi alla stagione delle tempeste di sabbia, la «dust storm season». La sonda sovietica Mars 3 liberò un rover che dopo quattordici secondi dall'ammartaggio non dette più alcun segnale.
I primi lander in grado di ammartare e resistere un po' di più furono quelli del programma statunitense Viking, nel 1976. Ma Mars Climate Orbiter della Nasa si perse nel 1999: sbagliarono i calcoli, confondendo le unità di misura americane e inglesi. Nel 2003 il flop della missione Mars Express, con il disastro del lander Beagle 2, rimasto senza «benzina».
E siamo a oggi. Non è ancora detta l'ultima parola, ma già si guarda alle missioni che verranno. Due gli appuntamenti imminenti, previsti per il 2018.
L'Interior Exploration using Seismic Invetigations, Geodesy and Heat (Insight), progetto americano, promette di spedire sul pianeta rosso un robottino che potrà studiare la geologia del corpo celeste; Red Dragon, di Elon Musk, imprenditore sudafricano fondatore della Space Exploration Technologies Corporation, mira invece a visitare Marte per aprire definitivamente la corsa all'esplorazione umana; che in un modo o nell'altro si avvalorerà anche dell'esperienza di Schiaparelli.
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