Coronavirus

Ultima sfida al Covid. La banca del sangue per conservare il plasma "immune"

Anticorpi dei guariti usati come farmaci: già trovati 30 donatori, la gestione sarà dell'Avis

Ultima sfida al Covid. La banca del sangue per conservare il plasma "immune"

Ben prima del vaccino, sarà il plasma dai pazienti guariti la chiave per risolvere la pandemia. Ce lo hanno suggerito i medici cinesi che, quando sono sbarcati in Italia per darci una mano, come prima cosa ci hanno fatto dono delle provette con il sangue, ricco di anticorpi, di chi aveva sconfitto il virus. Una sorta di preziosissimo Graal dell'immunità da cui ricavare il primo vero farmaco contro l'infezione.

Il consiglio non solo è stato seguito, ma è diventato una sperimentazione che sta dando ottimi risultati. Tanto che sono già state gettate le basi per costruire la prima banca del plasma anti Covid. I donatori sono già una trentina e ognuno di loro ha permesso di raccogliere 600 ml di plasma a testa, la quantità necessaria per realizzare due dosi terapeutiche da iniettare ai pazienti.

Più guariti ci saranno, più sacche potranno essere raccolte e più malati verranno curati. E ora che i numeri di chi ha superato l'infezione cominciano a crescere, è possibile avviare una campagna di prelievi che permetta di raccogliere (ed elaborare) dosi sufficienti per realizzare i farmaci. La selezione dei possibili donatori è già cominciata. Non tutti infatti hanno prodotto, nel corso della malattia, la quantità di anticorpi sufficiente e non tutti sono adatti alla donazione, magari perché affetti da altre malattie croniche. La gestione delle donazioni sarà in mano all'Avis che già sta stilando la lista dei potenziali donatori in varie regioni: Lombardia, Veneto e Toscana, per un bacino che potrebbe «arruolare» qualche centinaio di migliaia di persone guarite.

Il primo studio sul plasma è partito proprio nelle zone più colpite, che sono sì quelle con più casi ma anche quelle in cui si registra il più alto numero di persone che non sono più positive al virus. Lo studio è in mano a un'équipe del policlinico San Matteo di Pavia, guidata da Cesare Perotti, direttore del servizio di Immunoematologia. Ed è portata avanti anche dai laboratori dell'ospedale di Mantova coordinati dall'immunoematologo Massimo Franchini. Si lavora giorno e notte, dormendo quella manciata di ore sufficienti a recuperare le energie. «Abbiamo elaborato in una settimana un protocollo che avrebbe richiesto tre mesi - spiega orgoglioso Franchini -. In pratica si preleva il plasma da pazienti che hanno superato la fase critica e sono tornati sani e lo si trasferisce in persone ancora ammalate. Finora per curare i malati stiamo utilizzando terapie aspecifiche, con farmaci nati per altro: Hiv, malaria, ebola, artrite. Il plasma dei guariti contiene invece anticorpi killer mirati proprio contro il Covid-19 e, se ci pensiamo, si tratta di una terapia biologica di una semplicità disarmante, tra l'altro già utilizzata contro altre pandemie, come la Sars o l'Ebola, e raccomandata dall'Organizzazione mondiale della sanità».

Il risultato della sperimentazione è la creazione del cosiddetto plasma convalescente iperimmune, cioè la parte non cellulata del sangue, ricca di acqua, proteine e anticorpi neutralizzanti. Grazie allo staff del virologo Fausto Baldanti (che già sta mettendo a punto il test sugli anticorpi per diagnosticare i casi positivi) sono state fatte ulteriori analisi: il siero prelevato è stato messo in contatto con il virus per vedere la sua efficacia.

Al momento il farmaco ricavato dal plasma è stato provato su una cinquantina di pazienti con ottimi risultati. «Si vedono reazioni positive già dopo solo una dose» spiega Franchini. Tanto che Inghilterra e Stati Uniti hanno già chiesto il protocollo e sono fortemente interessati al lavoro di Mantova e Pavia.

«Il momento giusto per immettere il plasma è ad uno stadio preciso della malattia: cioè quando si hanno già delle manifestazioni gravi, come la scarsa ossigenazione, si è sottoposti a ventilazione assistita con casco C-pap, ma non si è ancora intubati» spiegano i virologi.

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