Giuseppe Conte detta le sue condizioni per continuare l'avventura di governo: stop alle liti tra i soci di governo e via a una «fase due» che prospetta come densa di futuri successi. Conte riesce disinvoltamente a negare lo stallo ma allo stesso tempo a dirsi non disposto «a vivacchiare». Ma se il lungo discorso pronunciato da Palazzo Chigi viene recapitato a entrambi i vicepremier, le bacchettate sono quasi tutte per Matteo Salvini. Tanto che Conte si trova costretto a rivendicare da giorni la sua autonomia da premier tecnico, tentando di far dimenticare che prima delle elezioni era stato indicato dai 5 Stelle come membro del loro governo dei desideri. «Neanche a casa mia sanno per chi voto», aveva detto qualche giorno fa. E ieri, rispondendo ai giornalisti dopo il lungo monito da Palazzo Chigi, ha ribadito il concetto, dicendo che ha accettato di fare il premier solo perché gli avevano garantito che il suo ruolo sarebbe stato senza «colore».
Ma le sue parole dicono altro. L'elenco degli atti di contrizione chiesti ai vicepremier è chiaramente sbilanciato. Ci sono cinque «ma» chiaramente diretti a Salvini.
I paletti sull'autonomia. «Stiamo lavorando per attuare l'autonomia differenziata e io stesso intendo dare massimo impulso» ma «avendo cura di evitare che il legittimo processo riformatore aggravi il divario tra Nord e Sud».
La diluizione della flat tax. Conte la conferma: «È un tassello importante del contratto di governo» ma «ragiono su una più complessiva e organica riforma del fisco perché la rimodulazione delle aliquote deve inserirsi in un percorso più complessivo, perseguendo una giustizia tributaria più efficiente, su cui lavoro con il ministro Bonafede» e naturalmente Conte specifica che la riforma non dev'essere in deficit.
Le polemiche social. Conte stila un lungo elenco di provvedimenti fatti nel primo anno di governo (enfatizzandone i lati positivi, ovviamente) e parla di una fase due già in corso e piena di progetti già avviati, ma «se continuiamo a indugiare nelle polemiche a mezzo stampa, nelle provocazioni coltivate per mezzo di veline quotidiane, nelle freddure via social non possiamo lavorare».
Le competenze dei ministeri. Per andare avanti, spiega il premier, serve il ritorno alla leale collaborazione tra le forze della maggioranza e tra i membri del governo, ma «nessun ministro prevalichi le sfere che gli competono». E anche qui il riferimento è chiaramente a Salvini e ai suoi discorsi a tutto campo che, specie dopo il voto europeo, hanno investito ogni possibile sfera di azione governativa.
La svolta sui migranti. Oltre al riferimento agli sconfinamenti di competenze è il riferimento più «mirato» che fa Conte, che addirittura riprende le polemiche preelettorali targate 5s. Il premier rivendica i risultati raggiunti in questo primo anno di governo, ma lancia una stoccata dritta dritta al Viminale: «Bisogna rendere più efficaci i rimpatri di coloro che non hanno diritto di rimanere nel nostro Paese».
Se l'obiettivo del discorso era sbloccare lo stallo e placare le polemiche dei due vice premier, il flop pare subito evidente. A parole tutti dicono di voler andare avanti ma se Conte ha escluso riflessi sul governo del voto alle Europee, Salvini ha subito rivendicato i «nove milioni di voti alle europee». Conte fa balenare un'ultima minaccia: sa sarà costretto a uscire di scena, indicherà agli italiani il colpevole.
Basterà? E a riprova del clima, primo strappo, già in serata: nessun intesa tra Lega e M5s sullo Sblocca-cantieri, il Carroccio non ritira l'emendamento che blocca per due anni il codice appalti. Era stato Conte a convocare la riunione. Di fronte al «no» allo stop il premier si è irritato e ha sciolto il vertice: «Per me la riunione finisce qui. Così non va bene».
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