Milano È una ultrà di Umberto Bossi, una leghista della prima ora che del culto del Senatùr ha fatto una ragione di vita: e che ha avuto il privilegio di lavorare per anni al suo fianco come segretaria personale nella sede di via Bellerio. Col «nuovo corso» seguito ai guai giudiziari di Bossi non è mai andata d'accordo. E ieri Daniela Cantamessa rilascia una breve intervista all'Huffington Post chiamando in causa Matteo Salvini per il periodo, a partire dal 2012, in cui l'attuale ministro dell'Interno era il segretario della Lega Lombarda. La Cantamessa spiega di avere raccontato a Salvini («avevo con lui un rapporto cameratesco, pensavo che parlassimo la stessa lingua») di come i 40 milioni rimasti in cassa dopo l'addio di Bossi venivano dilapidati. «Ma lui non si sbilanciò molto, disse va bene o una cosa del genere».
Si tratta in realtà di dichiarazioni non nuove, e rese dalla Cantamessa sia agli inquirenti del processo principale a Bossi che a numerose altre procure italiane, e ritenute irrilevanti: tanto che non ne scaturì alcuna inchiesta né a carico di Maroni né di Salvini.
La Cantamessa ha raccontato che «con la gestione Maroni, anziché usare la struttura della Lega che era ventennale, gente che faceva le stesse cose da sempre, si usavano strutture esterne che avevano costi alti», dall'avvocato al commercialista. «Queste persone che venivano da fuori erano tutte legate a Maroni.
Noi militanti eravamo abbastanza sconvolti da quello che accadeva perché la Lega era come la nostra famiglia, eravamo come un marito che vede la moglie dilapidare il patrimonio». Ma Salvini, dice, «non si sbilanciò molto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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