Elezioni Comunali 2017

Un'altra sconfitta per Renzi. E la fronda Pd lo fa a pezzi

Rosato: colpa di chi agisce per ripicca (cioè di D'Alema) Il pomeriggio surreale del segretario che twitta di sport

Un'altra sconfitta per Renzi. E la fronda Pd lo fa a pezzi

La batosta è pesante, e nel Pd non lo nascondono. Ed è uniforme: cadono i candidati renziani come all'Aquila, e quelli «di sinistra» come a Genova. Roccaforti rosse come La Spezia, città dell'anti-Renzi Andrea Orlando, e come Sesto San Giovanni. Unica eccezione, singolare, è Padova, dove il candidato Pd è in testa rispetto al sindaco leghista uscente: una sconfitta pesante per la Lega salviniana, una magra consolazione per il Pd, insieme a Taranto e Lecce.

Un risultato così uniforme che in molti, nel partito renziano, attribuiscono una parte della perdita di consensi - finita in astensionismo - ad eventi nazionali degli ultimi giorni: il salvataggio delle banche, il grande can can sulla vicenda dei compensi a Fabio Fazio (messa in carico al centrosinistra), la polemica feroce sullo ius soli. E poi un trasferimento di voti dei Cinque Stelle, esclusi dai ballottaggi, sui candidati del centrodestra: «Si conferma che sono elettorati contigui», dicono al Nazareno.

Una sconfitta in parte attesa, anche se non in queste proporzioni, tant'è che Matteo Renzi ieri non ha messo piede a Roma e sui social si è limitato a commentare gli eventi sportivi del giorno, e che nella sede Pd, fino a sera, l'unico dirigente nazionale presente era il responsabile Enti locali Matteo Ricci.

Che il centrodestra avesse il vento in poppa era già chiaro dal primo turno. La linea del Piave costruita al Nazareno metteva in conto una possibile sconfitta di Genova, ma sperava di compensarla con la vittoria in almeno un paio di città rilevanti come L'Aquila, Parma e Padova. Ma i primi exit poll facevano traballare anche questo baluardo.

L'analisi di Renzi guarda alla scena nazionale. Del resto, già in mattinata, ad urne aperte, aveva commentato con i suoi: «Ci dicono che senza un nuovo centrosinistra allargato a tutti non si vince, che bisogna costruire la nuova Unione e guardare a sinistra? Bene: abbiamo messo candidati di sinistra e della larga coalizione quasi ovunque: vediamo se vincono». Insomma, checché ne dicano Prodi o Pisapia, le sconfitte di Genova o La Spezia dimostrano - riflettono al Nazareno - che non è l'ammucchiata di leader e partitini profondamente divisi sulla linea politica a fare la differenza. «Davanti a una destra a trazione leghista, che ha temi in comune con i grillini, solo un Pd con una linea chiaramente riformista ed europea può fare argine allo scivolamento a destra. Non una sommatoria di sigle senza un'agenda politica coerente», spiega Lorenzo Guerini.

L'altolà alle «alleanze spurie», ossia quelle che tengono insieme anche chi si è «adoperato per affossare ogni possibile agenda riformista» e per «tentare di far vincere i nostri avversari ogni volta che era possibile», dicono i renziani, era stato avanzato, sia pur con toni soft, già ieri mattina dal presidente dei deputati Pd Ettore Rosato: «La scissione del Pd è stata frutto di ripicche e veti personali, come dice Prodi. Penso che i nostri elettori soffrano a vedere queste divisioni», avvertiva alla vigilia dei ballottaggi. Per poi aggiungere, con implicito riferimento alle ubbie di Pisapia e agli anatemi di D'Alema e Bersani: «È difficile stare con chi dice mai con il Pd di Renzi. Di questo bisogna prendere atto». Ora, ammettono al Nazareno, «si riaprirà la giostra interna», con la minoranza pronta a contestare la leadership renziana.

E infatti arriva subito Andrea Orlando che (dall'alto del trionfo nella sua La Spezia dei candidati del «centrosinistra largo») tuona: «Il Pd isolato politicamente e socialmente perde quasi ovunque. Cambiare linea. Ricostruire il centrosinistra subito».

Orlando il 27 giugno riunirà la sua area proprio per chiedere «una svolta», e il 1 luglio sarà alla manifestazione di Pisapia che chiede un centrosinistra senza Renzi candidato premier.

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