Coronavirus

Un'altra spada di Damocle sui datori di lavoro. "Serve un'immunità per il rischio di contagi"

Per la legge vale come infortunio: "Ma questa responsabilità non è nostra"

Un'altra spada di Damocle sui datori di lavoro. "Serve un'immunità per il rischio di contagi"

Adesso che gli imprenditori, dopo settimane di stop hanno riaperto le aziende o stanno per farlo, non devono solo affrontare le preoccupazione economiche, ma anche quelle delle responsabilità in cui incorrerebbero nel caso in cui un dipendente venisse contagiato sul posto di lavoro.

Un tema non nuovo, tornato di attualità con gli incontri in corso in questi giorni tra governo e parti sociali in vista del prossimo decreto. Il problema è racchiuso nell'articolo 42 del Decreto Cura Italia, che arriva a configurare il Covid 19 come un infortunio sul lavoro, facendo ricadere sulle imprese responsabilità - potenzialmente anche penali - che i datori di lavoro non vogliono assumersi. Gli imprenditori sono sul piede di guerra. In prima linea, tra chi non vuole correre questo tipo di rischio, c'è l'Ance. «Non abbiamo nessuna intenzione di accettare che i settori industriali siano gravati dal rischio che il contagio da Coronavirus diventi infortunio sul lavoro. Non siamo in grado di definire dove una persona si può contagiare perché questo esula completamente dai rischi tipici della attività aziendale», dice il presidente dell'associazione nazionale costruttori edili, Gabriele Buia. Durante l'incontro che si è tenuto ieri tra governo e associazioni datoriali, l'Ance ha sottolineato che il lavoratore deve essere sì indennizzato come infortunio sul lavoro, ma senza colpevolizzare le imprese. Anche l'imprenditrice Alessia Berlusconi, in attesa di sapere come e quando potrà riaprire il suo stabilimento balneare a Forte dei Marmi, ritiene un controsenso questo tipo di eventualità, che va a danneggiare ancora di più le piccole e medie imprese che invece devono essere il motore della ripartenza: «È un tipo di orientamento estremamente pericoloso. Non può ricadere su noi imprenditori la responsabilità di un contagio che probabilmente è avvenuto altrove. Le aziende, nonostante l'inerzia delle amministrazioni locali che non ci stanno dando i protocolli, si sono attivate per farlo in autonomia, anche perché i dipendenti sono l'asset di un'impresa. Non è possibile dover subire le conseguenze di comportamenti di cui non siamo responsabili». Il fulcro del problema è proprio la difficoltà, nel caso dell'infezione da Covid-19, di stabilire che il lavoratore si è infettato in azienda e non fuori. Qualificandosi come infortunio, il contagio potrebbe potenzialmente aprire un profilo di responsabilità penale per il datore di lavoro nel caso in cui non siano state adottate tutte le misure per prevenire il rischio. Mascherine, distanziamento, sanificazione e tutta la sfilza di indicazioni fornite dall'Inail per riorganizzare l'attività produttiva minimizzando i pericoli. Se le imprese non rispettano gli standard previsti, rischiano accuse di lesioni e omicidio colposo, nel caso di morte del lavoratore. E spetta all'imprenditore dover dimostrare di aver applicato ogni cautela per garantire la sicurezza dei lavoratori.

La certificazione del contagio come infortunio sul lavoro espone gli imprenditori anche al rischio di contenziosi civili.

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