C'è un'incapace al comando, la sua maglia è franco-tedesca e il suo nome è Christine Lagarde. Altro che rimpiangere Mario Draghi: perfino il pavido Jean-Claude Trichet, imbelle ai tempi del colera finanziario da mutui subprime, appare ora come un gigante. Con la frase tossica di giovedì («Lo spread non è compito nostro») , costata alla nostra Borsa 84 miliardi di euro, Madame ha completato il traghettamento: da reine de la gaffe, qual era quando appendeva il tailleur d'ordinanza Chanel e indossava i panni da Maria Antonietta per esortare i francesi all'uso del vélo (la bicicletta) contro i rincari della benzina, a megafono dell'altrui volontà. Perché solo immaginare che a una donna di 65 anni, per ben due mandati a capo del Fondo monetario internazionale e dopo trascorsi peraltro non memorabili alla guida del ministero francese dell'Economia, possa sfuggire una cantonata, per quanto sesquipedale e imperdonabile in un momento delicatissimo come questo, significa aver capito poco o nulla di come girino ora le cose in quel di Francoforte. Una gaffe si può derubricare al rango di cazzata. Qui, invece, siamo alla scelta di campo, netta e inequivocabile: quella che ha portato la Lagarde a schierarsi dalla parte di Berlino. Al punto da riprendere pari pari, durante la tragica conferenza stampa dell'altroieri, le parole della tedesca Isabel Schnabel, colei che nel comitato esecutivo dell'Eurotower ha preso il posto della dimissionaria Sabine Lautenschläger, in aperto conflitto con le scelte di Draghi.
Davanti al cumulo di macerie del made in Italy, Christine è stata costretta a metterci una (tardiva) pezza e ieri si è reso necessario l'intervento del capoeconomista della Bce, Philip Lane: «Siamo pronti - ha garantito - a fare di più». Ma la sostanza non cambia. C'è un preciso indirizzo della politica monetaria, e fa capo alla Bundesbank e ai suoi alleati. A tutti quelli, cioè, che vedono come fumo negli occhi un «whatever it takes 2.0», il bazooka contro l'emergenza. E che, nell'ora più buia, pensano di cavarsela con pannicelli caldi. Insomma: una Bce a immagine e somiglianza dell'Ue, dove conta salvare Deutsche Bank e dove il pareggio di bilancio è un obbligo solo finquando la Germania non annuncia «prestiti illimitati» (base d'asta 550 miliardi) per soccorrere cittadini e imprese.
Per chi l'ha messa lì, la Lagarde è perfetta: malleabile come l'alluminio, morbida come il burro. Così è sempre stata fin da quando Nicholas Sarkozy la piazzò, nel 2007, all'Economia malgrado le sue carenze curriculari. Lei gliene fu eternamente grata: «Fai di me ciò che vuoi», scrisse in una lettera diventata celebre quanto quella scarlatta. Il poco che mastica d'economia, Christine l'ha imparato facendo l'avvocato d'affari alla Baker&McKenzie, uno degli studi legali più grandi al mondo. Le lacune, però, hanno continuato a pesare.
Memorabile la profezia sgangherata dell'agosto 2007 («Il peggio della crisi è dietro di noi»), altrettanto inquietante l'alibi con cui esordì come capa dell'Fmi al posto di Strauss-Kahn: «Ho uno squadra di economisti, ci penseranno loro». Così facendo, ha autorizzato la lobotomia finanziaria della Grecia. E confermando di essere insuperabile in una cosa: star sempre dalla parte dei più forti.
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