Usa, arrestata la spia cinese. E spunta un altro informatore

Gli agenti federali entrano nel consolato di Houston. Ora un cittadino di Singapore si dichiara "colpevole"

Usa, arrestata la spia cinese. E spunta un altro informatore

Il primo capitolo della «guerra dei consolati» tra Stati Uniti e Cina si è concluso ieri con la chiusura di entrambe le sedi diplomatiche interessate, quella di Houston e quella di Chengdu. L'invito cinese a Washington a fermarsi prima che fosse troppo tardi, offrendo a parole buona volontà per la ripresa di relazioni stabili tra i due Paesi in cambio di un'impossibile presa in carico americana di ogni responsabilità della crisi, non è stato dunque ascoltato. Nella città texana, allo scadere ieri pomeriggio del tempo concesso per lo sgombero, agenti federali e forze dell'ordine sono entrate nel consolato cinese forzandone gli ingressi e assumendone il controllo dopo che il personale aveva lasciato la struttura come era stato imposto. Non è mancata una coda velenosa da parte cinese, con la minaccia di «una risposta appropriata e necessaria» all'ingresso dei federali nei locali del consolato, definito illegale. La rappresaglia decisa da Pechino, e ampiamente annunciata, è stata subito attuata nella metropoli del sud-ovest della Cina: qui il personale americano ha fatto i bagagli e rimosso l'insegna della sede diplomatica Usa prima ancora che la Cina precisasse la scadenza dell'obbligo di chiusura.

La conclusione del braccio di ferro sui consolati non significa che sia alle viste un calo della tensione tra Pechino e Washington. Al contrario. Le autorità americane continuano a sottolineare che la decisione di agire a Houston è stata resa necessaria dalla scoperta di prove riguardo al ruolo di quel consolato cinese come di un centro operativo di azioni illegali, sostanzialmente di spionaggio in ambito commerciale e tecnologico affidato a persone affiliate alle forze armate di Pechino pur negando di esserlo. La rete, però, si estendeva nel resto degli States: un alto funzionario della giustizia Usa ha detto che il consolato di Houston era «un microcosmo di una rete di individui attivi in oltre 25 città» e che i consolati cinesi «fornivano a quelle persone istruzioni su come sfuggire alle nostre indagini». Ieri è stata arrestata anche la quarta ricercatrice cinese accusata di farne parte, quella Tang Yuan che da giorni aveva trovato rifugio nel consolato cinese della città californiana. Le circostanze dell'arresto non sono state rese note e rimangono alcuni punti oscuri, considerando che un consolato gode di extraterritorialità e quindi la polizia americana non è autorizzata a entrarvi. Tang, che ha 37 anni ed è un'oncologa, è stata trasferita nel carcere di Sacramento per essere interrogata: rischia fino a dieci anni di reclusione per frode e uso illecito di visto per l'ingresso negli Stati Uniti.

E certamente non aiuta il fatto che come ha riportato la Bbc proprio ieri, in una corte federale degli Stati Uniti, anche un cittadino di Singapore abbia ammesso di essere stato una spia per conto della Cina. Jun Wei Yeo, consulente politico, ha confessato di essere stato arruolato dai servizi segreti di Pechino nel 2015, quando era studente universitario nel suo Paese, e di aver lavorato come agente illegale raccogliendo informazioni che trasmetteva alla Cina fino all'anno scorso, quando è stato arrestato negli Stati Uniti.

La «nuova guerra fredda» non si fermerà qui. Dal punto di vista americano, il problema posto dalla Cina è ormai troppo grande per essere ridimensionato.

Un funzionario dell'intelligence Usa citato dal «Times» di Londra ha detto che l'Fbi ha attualmente aperte circa duemila investigazioni di controspionaggio legate alla Cina, e che ne viene aperta una nuova mediamente ogni dieci ore.

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