Gli Stati Uniti sono «pronti e armati», per reagire agli attacchi contro le raffinerie di Aramco, che hanno avuto ripercussioni su metà della produzione petrolifera saudita. Il presidente americano Donald Trump per ora non ha puntato il dito direttamente contro l'Iran, ma con le sue parole ha rinnovato il timore di una guerra con Teheran all'orizzonte. Su Twitter, il tycoon ha precisato di attendere la conferma sulle responsabilità e le valutazioni di Riad, sottolineando tuttavia che «c'è ragione di pensare che conosciamo i colpevoli». «Ricordate quando l'Iran abbattè un drone dicendo deliberatamente che era nel loro spazio aereo mentre in realtà non era affatto vicino? - ha aggiunto - Hanno insistito sapendo che era una grandissima bugia. Ora dicono che non hanno nulla a che fare con l'attacco all'Arabia Saudita, vedremo».
Ad accusare direttamente la Repubblica Islamica è stato invece il segretario di Stato Mike Pompeo, nonostante il raid sia stato rivendicato dagli Houthi, i ribelli yemeniti filo-iraniani (che ora minacciano altri raid). «Come ha affermato Pompeo non ci sono prove che arrivi dallo Yemen, ma informazioni emergenti indicano che le responsabilità sono dell'Iran», ha ribadito la neo ambasciatrice americana all'Onu, Kelly Craft. «Dobbiamo essere tutti chiari su questo evento, un attacco diretto all'approvvigionamento energetico mondiale». L'amministrazione Usa ha diffuso foto satellitari che mostrano gli almeno 17 punti di impatto negli impianti petroliferi sauditi di attacchi provenienti da nord o nord ovest, elementi - come riporta il New York Times - che sarebbero coerenti con un raid proveniente dalla direzione del Golfo persico settentrionale, quindi Iran o Irak, piuttosto che dallo Yemen. E il portavoce delle forze armate saudite, colonnello Turki al-Malki, ha spiegato che le indagini iniziali condotte da Riad suggeriscono che gli attacchi alle installazioni petrolifere di sabato scorso «non sono stati lanciati dallo Yemen», ma sono state utilizzate «armi iraniane».
Dopo la condanna degli attacchi da parte del segretario generale Onu Antonio Guterres, l'inviato speciale delle Nazioni Unite in Yemen, Martin Griffiths, ha ribadito che «non è interamente chiaro chi sia dietro l'attacco», avvertendo tuttavia che si tratta di «un incidente estremamente serio, con conseguenze che vanno molto oltre la regione», e rischia di «trascinare lo Yemen in una conflagrazione regionale».
Intanto, le tensioni scatenate dagli sviluppi a Riad allontanano la possibilità di un incontro tra Trump e il presidente iraniano Hassan Rohani durante l'Assemblea Generale Onu a New York, la prossima settimana. Il Commander in Chief ha smentito di essere pronto a vedere l'omologo di Teheran senza condizioni: «Questa è una dichiarazione non corretta (come sempre)». Mentre il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Abbas Mousavi, ha fatto sapere che Rohani «non ha in programma» un incontro con il tycoon a New York. «Come ha detto il presidente, l'Iran non vuole colloqui solo per fare una foto, ma eventuali negoziati dovrebbero avere un'agenda in grado di portare risultati tangibili», ha precisato Mousavi. E il portavoce del governo, Ali Rabiei, ha affermato che «togliere le sanzioni è una condizione base per i colloqui con Washington»: «Non negozieremo più sotto sanzioni». Rohani, da parte sua, ha tenuto a ribadire che «l'Iran ha sempre dato grande importanza alla salvaguardia della sicurezza delle acque del Golfo Persico, dello Stretto di Hormuz e del mare di Oman ed è tenuto a garantirla». Ed è tornato a definire un'interferenza destinata ad accrescere le tensioni regionali l'iniziativa promossa dagli Stati Uniti nell'area del Golfo con lo scopo di tutelare la sicurezza delle rotte navali commerciali.
Intanto, da Pechino, la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying ha invitato alla «moderazione» Stati Uniti e Iran, definendo «non molto responsabile» accusare altri «in assenza di un'indagine o verdetto definitivo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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