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In Usa massacro in diretta tv: "Trump? Razzista e truffatore"

L'ex legale Cohen al Congresso: "È in politica per affari Sapeva delle mail rubate alla Clinton. Neri per lui stupidi"

In Usa  massacro in diretta tv: "Trump? Razzista e truffatore"

All'estero la consacrazione di presidente in grado di difendere gli Stati Uniti dalla minaccia nucleare della Nord Corea. In patria una valanga di accuse in diretta televisiva, sintetizzate in tre aggettivi tanto mediatici quanto perentori: Donald Trump è un «razzista, truffatore e imbroglione», dice sotto giuramento Michael Cohen, l'ex amico, l'uomo che gli fece da avvocato personale e faccendiere per oltre dieci anni, dal 2006 al 2018, cioè anche dopo la conquista la presidenza.

È stata la giornata della doppia narrazione sul capo della Casa Bianca. E secondo alcuni assistenti del presidente non è un caso che Trump abbia fissato il summit di Hanoi con Kim Jong-un proprio quando sapeva che sarebbe arrivata la testimonianza del suo ex legale davanti alla Commissione vigilanza della Camera. Potrebbe non essere un caso che dalla cena fra i due leader siano stati esclusi i quattro giornalisti di Bloomberg, Associated Press, Reuters e Los Angeles Times, anche se poi la domanda su Cohen è arrivata lo stesso e Trump si è limitato a scuotere la testa senza rispondere. Casuale non è di certo il tweet del presidente che ha preceduto la testimonianza di Cohen, dopo quella a porte chiuse in Senato e prima della prossima davanti alla Commissione intelligence della Camera, sempre a porte chiuse. Cohen «è stato appena radiato dalla Corte suprema statale per aver mentito e per frode - accusa il presidente - Ha fatto pessime cose non legate a Trump. Sta mentendo per farsi ridurre la pena», dice il leader americano ricordando la condanna a tre anni di prigione che l'ex avvocato comincerà a scontare a maggio per frode fiscale, falsa testimonianza e violazione del codice elettorale.

Ma cosa ha detto l'ex avvocato che fa tremare il presidente? Numero uno: Trump sapeva in anticipo (nel luglio 2016, prima della convention democratica), che Wikileaks avrebbe pubblicato le e-mail rubate al Partito democratico e che avrebbero danneggiato Hillary Clinton. I repubblicani ne avevano discusso con Julian Assange. Numero due: «Trump mi chiese di pagare una pornostar (Stormy Daniels) con cui aveva avuto un affaire e di mentire alla First lady a riguardo, uno dei miei più grossi rimpanti». «Io sto andando in prigione in parte per la mia decisione di aiutare Mr Trump a nascondere quel pagamento agli americani». E sul silenzio comprato dal presidente per mettere a tacere altre donne che avrebbero avuto relazioni con lui, Cohen esibisce un assegno di 35mila dollari, firmato dal presidente, datato 2017, la prova (una di undici) di come il tycoon lo rimborsasse per i pagamenti alle signore. Numero tre: il leader Usa ha detto di non essere coinvolto nel progetto di una Trump Tower in Russia durante la campagna elettorale. «Sia io che lui abbiamo mentito. I negoziati sono proseguiti per mesi». Ma niente prove di un complotto con la Russia, solo sospetti che possono mettere altra carne al fuoco del procuratore speciale Mueller che indaga sul Russiagate. «Il figlio di Trump gli disse all'orecchio: l'incontro è fissato». Cohen è convinto che parlasse del meeting con alcuni cittadini russi, fra cui qualche rappresentante del governo di Mosca.

L'ex avvocato non ha il dono della credibilità, lo ammette e non può fare altrimenti: «L'ultima volta che sono apparso di fronte a voi era per proteggere Trump». Ma poi, mentre i repubblicani hanno gioco facile a definirlo un «bugiardo patologico, lui dice: «Oggi sono qui per dire la verità su di lui». L'audizione sembra l'occasione per tentare di ripulire la sua coscienza: «Ho imparato presto che lavorando per Trump mi avrebbe ordinato di mentire per i suoi interessi». Ma ecco spiegato il cambio di rotta: «Quando Trump era un mogul lo consideravo una cosa di poco conto, come presidente lo considero pericoloso». E ai deputati repubblicani: «Lo proteggete come feci io ma non fate il mio errore». Infine: «Trump ha in sé sia il buono che il cattivo», ma è un razzista, «diceva che i neri non avrebbero mai votato per lui perchè erano troppo stupidi», «ha deciso di correre non per il Paese ma per il suo brand».

Non proprio il tipo di pubblicità che il leader Usa si augurava da Hanoi, mentre al fianco di Kim sogna quel Nobel per la Pace che ancora invidia a Obama.

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