Gli Stati Uniti annunciano un cambio di strategia nella gestione della crisi nordcoreana. Il vicepresidente Mike Pence ha spiegato la novità in una intervista al Washington Post: in estrema sintesi, la Casa Bianca dice sì al negoziato con Pyongyang anche senza la sua anticipata disponibilità a denuclearizzare, ma mantenendo immutata la «massima pressione» sulla Corea del Nord in accordo con gli alleati di Seul e Tokio per ottenere quello stesso obiettivo.
L'offerta di Pence è stata seguita da una puntualizzazione del segretario di Stato: «È ancora presto per intavolare negoziati con i nordcoreani - ha detto Rex Tillerson -. Loro sanno cosa devono fare per rendere possibile un riavvicinamento». L'allusione è all'impegno a rinunciare al programma militare atomico, che è esattamente ciò che Kim Jong-un non vorrà mai fare.
Al di là dei dubbi sull'effettivo significato di questo gioco delle parti nell'Amministrazione Trump, è piuttosto evidente che l'annuncio di Pence risponde alla necessità di un compromesso con l'alleato sudcoreano, il più direttamente coinvolto dall'ambigua strategia del sorriso messa in campo da Kim alle Olimpiadi di Pyeongchang. Il presidente Moon Jae-in, eletto l'anno scorso, ha promesso di riavviare il dialogo con il Nord e si pone verso i suoi concittadini come il garante del fatto che la Corea non diventerà il teatro di una nuova catastrofica guerra. Nei giorni scorsi Moon, invitato ufficialmente da Kim a Pyongyang e impegnato a intrattenere i suoi ospiti nordcoreani, aveva respinto la richiesta giapponese di riprendere in tempi rapidi le esercitazioni militari con gli americani.
A Washington devono aver valutato che fosse necessario offrire qualcosa a Moon in cambio di una sua uscita dall'ambiguità nel rapporto con Kim Jong-un, e l'avrebbero trovato in un'offerta di negoziato al Nord che mantenga però immutati non solo gli obiettivi finali (l'uscita senza equivoci di Pyongyang dal nucleare) ma anche i metodi: quella «massima pressione» da esercitare in termini politici, economici e militari.
Il più convinto alleato della Casa Bianca in questo processo è il Giappone. Ieri il ministero degli Esteri di Tokio ha invitato a «continuare a massimizzare la pressione sulla Corea del Nord, mettendola all'angolo e obbligandola ad applicare appieno la risoluzione dell'Onu. E continuare a lavorare con gli Stati Uniti e la Corea del Sud senza lasciarsi incantare dall'offensiva dello charme lanciata da Pyongyang».
Un richiamo al realismo che contrasta con un diffuso clima di apprezzamento nei confronti delle mosse nordcoreane, alimentato solitamente da chi non sa o non ricorda che da decenni il regime dittatoriale dinastico-comunista del Nord alterna sapientemente provocazioni e
aggressioni a mosse distensive. Intanto Pechino ha reso noto che durante i suoi tre giorni di permanenza in Corea del Sud, il presidente nordcoreano Kim Yong-nam ha incontrato anche l'inviato del presidente cinese Xi Jinping.
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