New York Quattro generazioni e tre quarti di secolo di storia americana racchiusi nei 23 candidati alle primarie democratiche. È la mappatura anagrafica degli aspiranti sfidanti di Donald Trump alle elezioni del 2020, una poliedricità forse mai vista in passato che per alcuni è una ricchezza, ma per altri osservatori rappresenta invece una fonte di rischio per la corsa del novembre del prossimo anno. Quel che è certo è che il fattore generazionale sta definendo in maniera netta la gara per la conquista della Casa Bianca: in campo c'è uno dei candidati alla presidenza più giovani della storia moderna, il 37enne sindaco dell'Indiana Pete Buttigieg, e il più vecchio, il 77enne senatore del Vermont Bernie Sanders.
La questione, tuttavia, è se sia il momento giusto per scommettere sul potere politico del ricambio generazionale, una costante nella politica dem e nelle campagne presidenziali di successo nella gran parte degli ultimi 60 anni. Le ultime elezioni di Midterm hanno visto l'ascesa dei giovani democratici, con ventiquattro «under 40» entrati in Congresso, e figure come la 27enne progressista Alexandria Ocasio-Cortez che stanno esercitando un'influenza notevole sull'agenda dell'Asinello. Se da un lato le loro vittorie fanno crescere la convinzione che la giovane età possa costituire un asset importante per Usa 2020, dall'altro c'è il timore che sia pericoloso nominare un giovane per sfidare il 72enne presidente in carica. Un ragionamento, quest'ultimo, che rappresenta un cambiamento notevole per un partito che ha tradizionalmente vinto la Casa Bianca con l'entusiasmo delle nuove generazioni incarnato da candidati come Barack Obama nel 2008, Bill Clinton nel 1992 e John F. Kennedy nel 1960. Ora, invece, i due dem in testa alle preferenze nella maggior parte dei sondaggi sono il 77enne Sanders e l'ex vice presidente Joe Biden, 76: se uno di loro dovesse vincere, diventerebbe il più anziano presidente eletto al primo mandato.
«La questione dell'età sarà una delle spine da affrontare quando arriveremo al caucus l'anno prossimo», spiega al New York Times Bryce Smith, 27enne presidente democratico della contea di Dallas, sobborgo in rapida crescita di Des Moines, Iowa: «Si tratta di esperienza contro la nuova leadership». Per Ronnie Werner, 72enne del New Hampshire, scommettere sulla prossima generazione è un rischio che non può permettersi di correre. Anche se nel 1968, quando si è recata per la prima volta alle urne, ha sostenuto il 42enne Robert F. Kennedy, e nel 2008 la sua casa è diventata il fulcro della campagna locale per l'allora senatore Barack Obama. Ora invece, mentre aspetta di ascoltare Biden in una pizzeria di Hampton, sottolinea: «Tutto ciò per cui ho lavorato nella mia vita professionale e personale sta per essere buttato via. I giovani sono affamati di cambiamento e lo meritano, ma non sanno quanto la situazione sia spaventosa». Per il progressista Sanders la questione «non è se sei giovane o vecchio, ma ciò in cui credi». Mentre i candidati della Generazione X e soprattutto i Millennials considerano l'età una parte fondamentale del loro messaggio, sostenendo di essere meglio preparati a trovare soluzioni per problemi come il cambiamento climatico, l'assistenza sanitaria e l'economia in evoluzione.
«Il mondo è mutato rapidamente e abbiamo bisogno di un ricambio generazionale, nuove idee, nuovi approcci, nuovi modi di fare le cose», chiosa il 45enne deputato dell'Ohio e candidato alle primarie Tim Ryan. Per lui, l'età è una delle sue risorse migliori.
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