Utero in affitto Tutelare prima il benessere del bambino

Francesca Angeli

Roma La necessità di tutelare il minore prevale anche sull'affermazione della verità. La maternità surrogata, il cosiddetto utero in affitto, in Italia è una pratica illegale ma ora una sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito che il bambino non può essere tolto in modo automatico ai genitori che lo hanno avuto con la maternità surrogata. I giudici dovranno valutare caso per caso tenendo presente che l'obiettivo primario è il benessere del minore. Con la sentenza numero 272 depositata ieri, relatore Guliano Amato, la Consulta ha stabilito che «non è costituzionalmente ammissibile che l'esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull'interesse del minore» ovvero che non si è autorizzati a togliere automaticamente i figli ai genitori che li hanno avuti con la surrogata ma che allo stesso tempo non esiste automatismo nel diritto di continuare a crescerli. Sarà il Tribunale dei minori a misurare «gli interessi sottesi all'accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore». La Consulta indica anche quali possano essere i criteri di valutazione per indirizzare i giudici: ad esempio se il piccolo è inserito nella famiglia da tempo ma anche «le modalità del concepimento e della gestazione»

La sentenza allo stesso tempo ribadisce una ferma condanna della maternità surrogata che, scrivono i giudici «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».

Il caso approdato alla Consulta risale al 2012. Una coppia milanese si era recata in India per avere un figlio. La donna non poteva né concepire né portare avanti una gravidanza. Il bambino era stato concepito dunque con il seme del futuro padre e l'ovulo di una donatrice. Una volta tornata in Italia la coppia aveva cercato di ottenere il riconoscimento dell'atto di nascita del piccolo che, secondo la prassi indiana, indicava la coppia italiana come genitori. Ma il funzionario dell'ufficio dello stato civile di Milano, insospettito, aveva segnalato il caso alla Procura della Repubblica. I genitori avevano ammesso di essere ricorsi ad una donatrice e visto che l'utero in affitto è illegale nel nostro paese il pubblico ministero aveva chiesto di dare il bimbo in adozione. Ma la coppia non ha ceduto ed ha nuovamente richiesto di trascrivere l'atto di nascita.

Con l'esame del Dna è emerso che l'uomo è effettivamente il padre genetico del bambino che dunque è stato dichiarato non adottabile. La battaglia è proseguita rimbalzando fino alla Consulta che, pur confermando l'illegalità della pratica, ha ritenuto che in ogni caso si debba tenere conto di che cosa è meglio per il minore.

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