Roma - «La procura non può utilizzare uno strumento così, come un manganello. Luigi, ci ammazzano tutti». Lo scriveva in un messaggio telefonico la sindaca Virginia Raggi a Luigi Di Maio, nel momento in cui divenne di dominio pubblico la richiesta di rinvio a giudizio alla fine di settembre dell'anno scorso. Forse gli storici dateranno da quel momento il cambio di passo del Movimento grillino. Una forza oppositiva al sistema che non solo diventa sistema ma che arriva a modificare il proprio statuto pur di non perdere la faccia e cacciare la prima sindaca della Capitale. A quasi un anno di distanza ritorna prepotente il rischio per la sua giunta di una crisi d'immagine, se non politica, dalle conseguenze imprevedibili. Quando si trattò di portare avanti o abortire la candidatura della Capitale per le Olimpiadi, l'allora fresca di nomina Raggi non ci pensò due volte: troppi rischi legati alla corruzione in una città che ancora non si è disintossicata dal sistema di Mafia Capitale. Già allora le piovvero addosso critiche da ogni dove Ci sono altre priorità si difendeva.
Da quella rinuncia l'immagine della Città Eterna ne uscì a dir poco appannata. Da allora a oggi sono stati tanti i momenti in cui la gestione grillina del Comune ha dimostrato segni di debolezza. Come quando ha rinunciato a costituirsi parte civile nel processo al vicecapo di gabinetto Raffaele Marra. I soliti maliziosi allora avevano pensato che dietro quella rinuncia ci fosse la paura di ritorsioni da parte dello stesso Marra. Quello è stato senza dubbio il momento peggiore per la sindaca che il prossimo 21 giugno andrà a giudizio per la stessa accusa di falso (era l'inchiesta sulle nomine in Campidoglio, tra le quali quella del fratello di Marra quale responsabile della Polizia Municipale). Almeno fino a oggi. Con l'arresto di Luca Lanzalone, da lei nominato al vertice di una municipalizzata strategica come Acea, si riapre il caso Raggi. Lei ha subito convocato l'assemblea dei soci di Acea per azzerarne i vertici. Però le opposizioni non perdono l'occasione per invocare le dimissioni della stessa giunta che al netto della discutibile gestione dell'ordinario ha dimostrato - a loro parere - incompetenza e avventatezza anche nelle nomine. In questo la Raggi è anche sfortunata. Due giorni fa, infatti, aveva pubblicato un tweet dai toni trionfalistici proprio sul futuro stadio della A.S. Roma. «Lo stadio a Tor di Valle è sempre più vicino - scriveva la Raggi -. Stiamo lavorando senza sosta per accorciare i tempi e realizzare questa grande opera che porterà nuovi posti di lavoro e migliorerà la vita nel quadrante sud della città». E se è pur vero che l'inchiesta della Procura di Roma non riguarda direttamente gli atti formali prodotti dalla giunta Raggi, l'indagine rischia comunque di mettere una pietra tombale sul progetto. A luglio il dossier sarebbe dovuto approdare in Assemblea capitolina per l'approvazione della variante urbanistica che concede il cambio delle volumetrie per la sostituzione dell'ippodromo di Tor di Valle con lo stadio e il business park. Ma in assenza del costruttore proponente, Luca Parnasi, ora in carcere, la strada per la realizzazione dello stadio è tutta in salita. La sindaca cerca di reagire come un navigato politico garantista. «Aspettiamo di vedere le carte», dice. E a chi le chiede se il progetto andrà avanti risponde secca e seccata: «Se tutto è regolare spero proprio di sì. Chi ha sbagliato paghi». Sulla regolarità i Verdi avevano da tempo più di un dubbio. Ed è dal 2014 che si battono contro il progetto. «Come può la sindaca augurarsi che il progetto vada avanti? - si chiedono - Quando sono anni che chiediamo il perché della scelta di costruire in un'area a rischio idrogeologico, senza collegamenti e soprattutto in deroga al Piano regolatore?»
Ora sono tutti lì ad
attendere che qualcuno, a iniziare da Di Maio, che si limita a invocare i probiviri, spieghi il ruolo di Lanzalone nel Movimento. Perché oltre all'inchiesta giudiziaria, c'è un processo politico che sta per essere avviato.
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