"È vanità, opulenza e vera nobiltà. L'unico antidoto? Avere una moglie"

Il critico e conduttore tv Philippe Daverio, amante di sigari e papillon, parla del più narciso dei vizi: "Bisogna credere in se stessi senza ironia"

"È vanità, opulenza e vera nobiltà. L'unico antidoto? Avere una moglie"

Come ama ripetere a voce per calcare sull'accento corretto, il professor Philippe Daverio è nato a Mulhouse, classe 1949, quarto di sei figli, con un papà italiano di nome Napoleone, mamma alsaziana, severa educazione in collegi francesi, bocconiano interrotto, mercante d'arte moderna, gallerista, critico, membro della Giuria dei Letterati del Campiello, conduttore di un rivoluzionario programma d'arte tv dal titolo Passepartout. Ma soprattutto è fumatore di sigaro, ottimo bevitore, proprietario di un guardaroba di avanguardia nella classicità, strenuo difensore del papillon e fine osservatore di costumi e vizi nostrani. Tanto che ha appena mandato in libreria un ennesimo bestseller dal titolo Ho finalmente capito l'Italia (Rizzoli, pagg. 336, euro 29). Impossibile non interrogarlo sulla superbia.

È ancora un peccato capitale?

«La prima cosa da chiarire è proprio il motivo per cui ci portiamo dietro i peccati capitali, bisogna tornare alle origini».

Chiarisca subito.

«I peccati capitali vengono recuperati da Papa Gregorio attraverso la cultura greco-aristotelica. Sono un suo tema proprio negli anni della Riforma benedettina e diventano così la base della vita benedettina di comunità. I peccati sono indispensabili alla selezione nella vita di comunità».

Quindi non solo guida comportamentale per i religiosi, ma anche per i laici.

«Certamente. Prendiamo la superbia: nel borgo, dove si lavora, la superbia è intollerabile, è un crimine contro la collettività produttiva. Questa genesi evolverà con naturalezza negli anni anche verso il Rinascimento. In molte importanti città italiane, Firenze, Venezia, Milano, si metteranno normative anti-superbia, in realtà normative sul lusso: a Milano certi colori non sono ammessi, a Firenze si stabilirà quanti bottoni può avere la veste di una donna quando si sposa o quando cammina per strada».

Se dovesse definire la superbia?

«Anche qui dipende dalle origini. Se lei prende un cavaliere germanico, le dirà che la superbia è un suo progetto esistenziale. Senza superbia non si è cavalieri. È ovvio quindi che ognuno declina la definizione di superbia come può e come vuole».

E rapportando questi valori all'Italia di oggi?

«La superbia diventa un tema, nel quale si definisce con chiarezza la distinzione tra ricchezza e opulenza. La prima tollerata, la seconda vietata».

Il cavaliere germanico che fine ha fatto?

«Se vi capitasse di vedere uno degli ultimi discendenti dei cavalieri germanici, uno degli ultimi che hanno imposto la loro supremazia al mondo, lo vedreste sotto forma di Presidente degli Stati Uniti».

Intende proprio Trump?

«È un tedesco in fase evolutiva avanzata: ha una casa che è il simbolo totale della fierezza, dell'esagerazione, l'opposto di ciò che prevedeva l'etica medievale».

Il simbolo di superbia per la gente comune? I selfie?

«Niente affatto. Il simbolo di superbia per il mondo oggi è il grattacielo. Non appena gli arabi sono diventati superbi, hanno cominciato a costruire grattacieli. E ovviamente rimane una parte di ostentazione nelle barche, in cui noi italiani siamo bravi. Ma poi arriva la barca di Microsoft e ci fa una pernacchia».

La superbia richiede o richiama altre qualità?

«Richiede un po' di allenamento, perché non sia o non diventi cafonaggine. Richiede scolarizzazione, allenamento: non si diventa superbi in un attimo. Dietro Jfk e la ricchezza dei Kennedy o dietro la vedova Onassis c'era superbia. Ma oggi si vedono pochi superbi di valore e molti apprendisti cafoni. Il superbo cerca la contessa, non la velina».

L'ultimo che ha conosciuto?

«L'ultimo superbo chic è stato il barone Von Thyssen. Ma era barone. E collezionista. Diciamo la verità: ci mancano i superbi veri. Che poi fanno del bene alla società: l'esaltazione dei propri valori diventa condivisa e ne fonda altri. La superbia di Gulbenkian ha creato una fondazione».

Ci vuole snobismo, quindi.

«Più che snobismo: vera nobiltà, aristos».

Effetti collaterali?

«Il crollo della lungimiranza. Quando venne ucciso, Giulio Cesare era seduto come un dio sul suo altare».

La superbia femminile?

«Non esiste. Si chiama eleganza. Lei immagina un mondo senza la superbia di Coco Chanel?».

E lei, rispetto alla superbia, come si sente?

«Un po' un coglione. Per essere superbi bisogna credere in se stessi fino in fondo, al di là di ironia e autoironia. E invece io ho una moglie».

Cioè?

«I monogamici hanno un costante roditore anti-superbia che li

tiene ancorati alla realtà. Quando diedero il Nobel a Carducci, lui prese il telegramma e andò da sua moglie: Hai visto tu, che hai sempre detto che ero un fallito?. L'unico antidoto alla superbia è la critica domestica».

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