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Var, assenze e senatori a vita: ecco perché Conte non ha i voti

Il premier corre sul filo del rasoio. In Senato sarà una Babele. E Renzi può ancora farlo cadere quando vuole

Var, assenze e senatori a vita: ecco perché Conte non ha i voti

Il pallottoliere di Rocco Casalino piange. La fiducia raggranellata ieri da Conte al Senato non solo non è tecnicamente una maggioranza assoluta dei voti del Senato, ma è così debole da essere appesa agli umori (molto variabili) di ex forzisti, folgorati dell’ultimo secondo, Ciampolilli vari e via dicendo. Siamo seri: quei 156 voti a Palazzo Madama non bastano al governo. E la faccia del premier subito dopo i risultati tradiva tutta la preoccupazione di ritrovarsi d'ora in poi nelle mani di fuoriusciti e costruttori, sotto il costante ricatto di Italia Viva. Renzi, numeri alla mano, resta infatti ancora l’ago della bilancia del Parlamento: gli basta fare pollice verso per rimandare l’avvocato del popolo nelle aule dell’Università.

Dei 156 voti raggranellati ieri dai reclutatori contiani ben tre sono voti dei senatori a vita. Sorvoliamo sul fatto che il M5S fino a poco tempo fa voleva cancellare questo istituto feudale, stile “valvassini e valvassori”, e concentriamoci sul fatto che partecipano molto poco alle sedute dell’Aula. Liliana Segre ha la sua età, si definisce “spettatrice” al Palazzo, risulta presente o in missione solo nel 30,35% delle sedute, ed è probabile che al Senato si vedrà sempre meno. Nel computo dei voti “utili” possiamo anche non contarla: e siamo a 155. “Rigor Montis” (così lo chiamavano i 5S) ed Elena Cattaneo invece sono più attivi, ma nelle votazioni elettroniche risultano quasi sempre in missione. Monti ad oggi è stato presente il 5,62% delle volte, la collega il 27,97%. Poco, molto? Resta il fatto politico: fondare una maggioranza sui voti dei “non eletti”, ma di nomina perpetua, sembra davvero troppo.

Tolti i tre senatori a vita, dunque, il pallottoliere scende a 153. Di questi, due voti vengono da Forza Italia, e di solito queste cose non avvengono gratis. Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin si faranno sentire per ottenere qualcosina e se non verranno accontentati diventeranno una spina nel fianco. Lo stesso dicasi per gli ex Cinque Stelle tornati nei ranghi: se li avevano cacciati un motivo ci sarà, no? Tra i folgorati sulla via di Damasco c’è pure Tommaso Cerno, giornalista, eletto nelle fila del Pd, poi uscito dal gruppo e infine rientratovi. Domenica sera, in diretta a Non è l’Arena, aveva assicurato a Massimo Giletti che lui la fiducia non l’avrebbe votata. Quel ragionamento, riguardando il video, appare tutt’ora incomprensibile. Come incomprensibile è la rapidità con cui ci ha ripensato due giorni dopo. Chi assicura a Conte che chi cambia idea come le mutande non lo faccia ancora? Il governo, in sostanza, la maggioranza relativa la raggiunge solo cavalcando le onde dei sentimenti personali dei transfughi. Auguri.

Il voto “al var” di Ciampolillo ne è l’esempio plastico: è successo una volta, accadrà ancora. Senza contare che il responsabile ha già “chiesto” praticamente il ministero dell’Agricoltura. Quanti posti vacanti ci sono per accontentare tutti? Inoltre in Parlamento non c’è l’obbligo di frequenza come all’Università. Nei momenti cruciali conta tantissimo la capacità dei capigruppo di tenere serrati i ranghi e di portarli compatti al voto. Chi si assumerà il compito di farlo nel minestrone politico del gruppo Misto? Ne sarà in grado? In più ci sono le commissioni, dove la maggioranza non ha la maggioranza causa defezione di Italia Viva. Una babele incredibile. Sopravvivere a lungo sarà un miracolo.

Il dato più importante emerso ieri, comunque, è che dei 313 senatori presenti, i contrari sono stati 140 e gli astenuti 16, tutti di Italia Viva. In sostanza 156 contro 156, più la presidente Casellati che per prassi non vota. In sostanza Conte non ieri non aveva neppure la maggioranza dei presenti in aula: i fronti si equivalgono. Questo vuol dire che qualsiasi atto Renzi volesse affondare, gli basterebbe votare con l’opposizione. Tra gli 8 senatori assenti ci sono infatti due di Forza Italia e uno di Iv, tre senatori a vita e altri due. A conti fatti se Renzi in futuro invece di astenersi votasse contro, il governo andrebbe in minoranza: 159 contro 156, massimo 158. Da domattina, se Conte non riuscirà a raccattare altri voti (ma parecchi), l’ex sindaco di Firenze resterà col coltello dalla parte del manico. Lo ha già detto: “Staremo all’opposizione, adesso non ho più il vincolo di maggioranza”. Tradotto: può fare quello che gli pare, senza cioè dover appoggiare per forza l’esecutivo, ma con lo stesso potere di veto di prima. In Aula come nelle commissioni. Mattarella non può non tenerne conto.

Facciamo un esempio. Renzi ieri nel suo discorso ha sottolineato il fastidio con cui fu costretto mesi fa a votare la fiducia a Alfonso Bonafede. Oggi non lo rifarebbe. Se il centrodestra dovesse presentare una mozione di sfiducia contro il Guardiasigilli, o si votasse un provvedimento sulla giustizia, è probabile, se non sicuro, che il governo andrebbe in minoranza. C’è poi un altro dato da tenere a mente. Renzi ieri ha scelto l’astensione per non spaccare il suo gruppo, in parte spaventato dalle elezioni anticipate. La finestra per convocare le urne, per motivi di semestre bianco (che inizia il 3 agosto 2021), si chiude intorno a maggio. Da quella data in poi lo “spauracchio” elezioni non frenerà più gli affondi di Iv contro Conte, che a quel punto potrebbe essere tranquillamente sfiduciato senza rischiare il voto. L’unica soluzione sarebbe un governo istituzionale, tecnico o di scopo.

Ovviamente senza l’avvocato del popolo.

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