In fondo tutto è iniziato poco lontano da qui, dal Modena Park che Vasco cita in Colpa d'Alfredo e che per una notte è il suo tempio. A colpo d'occhio, fa quasi impressione vedere un palco lungo 130 metri e alto come un palazzo di otto piani che se ne sta silenzioso in mezzo al verde e al brulicare vociante dei tecnici. Stasera sarà agitato da 750mila watt di rock e da 1.500 metri quadrati di schermi in movimento che celebrano un rocker che è riuscito a creare una sinergia profonda, quasi carnale con il proprio pubblico. Il linguaggio di Vasco è solo suo e dei milioni che lo seguono. Siamo solo noi, anche se stasera sotto il palco saranno 230mila.
E forse oggi cambierebbe idea pure Nantas Salvalaggio che, nel 1980, lo definì senza giri di parole «una manciata di guano in faccia», sfruttando il linguaggio tipico del giornalista censore di fronte a un fenomeno indecifrabile. Trentasette anni dopo, Vasco Rossi resta indecifrabile perché sfugge ogni regola di comunicazione di massa eppure ha un successo enorme. Appare poco in tv. Da decenni è lontano da scandali, scandaletti e minutaglia promozionale, non segue le mode e, anzi, spesso ha il coraggio di criticarle. Per di più, per tanto tempo la grande stampa lo ha sbertucciato a ogni minimo passo falso. Eppure una parte enorme del suo pubblico segue soltanto lui con una fedeltà che stupisce qualsiasi osservatore. Perciò, stasera, il Modena Park è la celebrazione di un culto monoteistico che si porta dietro i cliché dei grandi raduni musicali del passato (il bivacco, la comunione di esperienze, la riunione di un pubblico geograficamente eterogeneo) ma ha lo slancio nuovo dei fenomeni transgenerazionali.
Quasi quattro ore di concerto. Quattro decenni di musica. Quaranta brani. A molti del Modena Park, Vasco sembrerà un puntino perso in mezzo a un palco kolossal. Ma quasi tutti - e non è retorico dirlo - sentiranno l'abbraccio delle sue canzoni. Non soltanto dei super classici come Sally, Vita spericolata o C'è chi dice no, ci mancherebbe. Ma anche dei brani che magari suona per la prima volta dal vivo (E il tempo crea eroi) o che sono, tutto sommato, marginali tra i 176 che ha scritto finora come Ieri ho sgozzato mio figlio o Ridere di te.
Insomma, dopo l'introduzione di Also sprach Zarathustra, tratta da 2001 Odissea nello spazio di Kubrik, è molto probabile che il primo brano sia proprio quel Colpa d'Alfredo che, nel 1980, ha sancito l'avvicinamento al rock e ha aperto le cateratte della critica anche grazie a un verso politically uncorrect: «È andata a casa con il negro la troia». Oggi Vasco lo spiega così: «In realtà la morale è che la colpa è sempre di qualcun altro, ed era molto più facile per me dare la colpa ad Alfredo che a me stesso». Ma, a quel tempo, apriti cielo. Invece qui, quando il cielo sarà ancora luminoso, Vasco racconterà la propria Anima fragile ospitando anche Gaetano Curreri (al piano proprio in questo brano) e i due chitarristi Maurizio Solieri e Andrea Braido all'interno di una scaletta che non fa sconti perché suonata senza mezzi termini (salvo un breve momento acustico) e, soprattutto, non avrà filtri.
Con tutti i suoi limiti, Vasco Rossi è la cartina al tornasole di un paio di generazioni che, in una sola serata, rivedranno le foto simbolo delle proprie
passioni, ascoltando i brani che le hanno accese o spiegate, oppure lenite. Una sorta di rito con il volume altissimo che rinuncia alla vita spericolata per diventare, candidamente, la festa di una delle ultime icone rimaste.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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