La deplorazione contro Atreju e chi vi partecipa schizza rabbiosa da parte degli amareggiati duri e puri specialisti della perspicacia faziosa: dietro la patina di un filtro instagram della trina Giorgia si nasconderebbe la stessa carica di intolleranza e autoritarismo che portò, 27 anni fa i ragazzi di Azione Giovani a organizzare il primo raduno di confronto della destra italiana. Ormai, rivelano afflitti, lo "sbaglio fatale" è fatto e "quelli" sono al potere invece di essere rimasti negli scantinati umidi delle vecchie sedi missine circondati da busti del duce, almeno non partecipiamo ai loro fascioparty fingendo che siano dei moderati. Voci più sofisticate si spingono ad attente ricostruzioni storico-antropologiche sui natali di Atreju come "setta" per conquistare l'attuale metamorfosi: una sorta di festival di Sanremo nazionalpopolare. Dove nazionalpopolare non ha, ça va sans dire, la nobile connotazione gramsciana come fenomeno culturale con radici in tutti gli strati del popolo a esprimere valori storicamente e spiritualmente significativi di un'intera nazione, piuttosto è il tratto distintivo dei "poveretti", ignoranti quando non stupidi. Bizzarro che i mestieranti del discredito abbiano dimenticato il fazzoletto rosso stretto al collo dei loro padri che sacrificavano le ferie per cucinare tagliatelle al sugo da servire nei piatti di plastica del festival dell'Unità mentre l'orchestrina suonava il liscio in attesa dell'intervento di Berlinguer, forse perché nel corso degli anni quel fazzoletto si è stinto.
Dimenticano anche che quando la Dc dominava la scena politica con il 40% dei voti, guardava a Helmut Kohl ma anche a Pippo Baudo (foto), simbolo di un'epoca di certezze e valori culturali e rappresentava con la sua popolarità l'Italia migliore. Nell'oblio anche il presidente della Camera e segretario di Rifondazione Comunista che, nel 2006, incurante delle polemiche suscitate, accettò l'invito ad Atreju di una giovane Meloni per dare un segnale di legittimazione alla destra italiana al di là della pregiudiziale antifascista. Gli stessi ragazzi che dallo scantinato invitavano Bertinotti sono diventati adulti, ora stanno in un ufficio con la scrivania di vetro ma hanno ancora voglia di fare festa, una festa di suggestione sanremesca che vuole essere inclusiva, vitale e democratica e non contempla "puzza sotto al naso"; accoglie militanti e simpatizzanti, ma anche chiunque rimpianga una politica più popolare e vicina. Nazionalpopolare, pop, accessibile, non sono vocaboli sconci, anzi, è l'anima delle feste e la partecipazione non può essere privilegio subordinato a colori, culture o status sociali diversi. E così quest'anno sul palco di Atreju si avvicendano il palestinese Abu Mazen e l'ostaggio israeliano sopravvissuto Rom Braslavski, Matteo Zuppi e Parodi, ministri e sportivi, mentre Nordio dibatte con la presidente di Magistratura Democratica che ha respinto i provvedimenti sui migranti in Albania; arriva un arcivescovo confuso fra ceo, pensionati, avvocati garlaschiani e giudici emeriti, quelli della Zanzara, Fini con Rutelli e Raul Bova, la Venier, Conti e Greggio.
Ci sono i militanti, quelli che hanno sempre avuto il cuore a destra, ma anche tante altre persone, persone delle quali non si conosce il nome.
Anonimi ignoti che, guardinghi e cauti, son venuti a Atreju in punta di piedi, forse di nascosto. Erano scettici, poi si son guardati intorno. Le tagliatelle non c'erano, e neppure i fazzoletti rossi. Però c'era la libertà, e tanta passione. Meno male, siamo di nuovo a casa, han pensato. Forse rimarranno.