La vendetta del Sultano: repressione e pena di morte

Arrestati seimila militari e tremila giudici, via quasi 8mila poliziotti. Revocate le ferie a 3 milioni di statali

Purghe senza precedenti contro oppositori veri o presunti tali, al fine di eliminare ogni traccia di resistenza al potere presidenziale. Non importa se a remare contro il capo dello Stato turco, Recep Tayyip Erdogan, siano quadri militari orfani della Turchia laicista disegnata da Kemal Ataturk o funzionari pubblici islamico-moderati, sostenitori dell'autoesiliato imam Fetullah Gülen. Tre giorni dopo il fallito tentativo di un gruppo di militari di rovesciare il regime del partito islamico Giustizia e Sviluppo (Akp), il governo di Binali Yildirim procede a epurazioni senza precedenti.

Subito dopo il fallimento del golpe, il regime aveva arrestato oltre 6mila militari, fra i quali 205 generali, e altrettanti giudici e pubblici ministeri (compresi due giudici costituzionali finiti sabato stesso dietro le sbarre). Il giro di vite contro i magistrati, 2700 rimossi dall'incarico, ha dichiarato lunedì l'ambasciatore turco in Bulgaria Suleyman Gokce, «era una misura di sicurezza già in programma, che i golpisti hanno tentato di sventare». Nelle stesse ore il ministero dell'Interno turco ha sospeso 8.777 funzionari di ogni livello: fra questi 7.899 poliziotti e 77 fra governatori provinciali e distrettuali. È fra i dipendenti del ministero che si anniderebbero migliaia di gulenisti: la loro ascesa al potere risale al 2009-2010, quando l'allora premier Erdogan e il suo mentore Gülen erano ancora alleati, mentre oggi Ankara richiede a gran voce agli Usa di estradare il religioso in Turchia, dove lo attende una serie di processi per complotto contro lo Stato. Una richiesta alla quale ha risposto il segretario di Stato americano John Kerry, invitando l'alleato turco a produrre «prove inconfutabili» del coinvolgimento di Gülen.

Lunedì Yildirim ha anche revocato le ferie a tre milioni di impiegati statali, ai quali è stato comandato di tornare sul posto di lavoro «il prima possibile». Una scelta logica: se siluri dalla mattina alla sera decine di migliaia di funzionari, puoi solo affidarti a quelli che restano. «Che si tratti dell'esercito o dell'aviazione, stiamo prendendo tutte le misure necessarie. È ovvio che stiamo vivendo un grande trauma nazionale», ha dichiarato il premier. Il trauma non è solo quello pubblico dell'apparato di governo o quello più intimo di Erdogan, che ha partecipato in lacrime ai funerali del suo amico Erol Olçak, il pubblicitario pro-Akp ucciso dai golpisti assieme al figlio sedicenne: l'intera nazione è senza pace. Lunedì pomeriggio due sicari hanno assassinato nel suo ufficio Cemil Candas, vicesindaco di uno dei distretti di Istanbul; il capo di stato maggiore dell'Aeronautica, Akin Ozturk, ha confessato di essere la mente dietro al putsch, e la Borsa di Istanbul ha chiuso in calo del 7,1%. Anche Internet è foriero di cattive notizie: in rete si moltiplicano le immagini di gravi violenze condotte da sostenitori di Erdogan contro gruppi di militari golpisti accerchiati. Nelle ore concitate del golpe, il presidente aveva chiesto ai suoi sostenitori di scendere in piazza per la difesa della democrazia. E se tanti turchi hanno inscenato pacifici caroselli di automobili per le strade cittadine, altri hanno pestato, linciato e seviziato i loro connazionali in uniforme. In rete non è difficile trovare video di giovani soldati a terra presi a cinghiate o a pedate, e di altri ammassati seminudi gli uni sugli altri con le mani legate dietro alla schiena.

Scene spesso di ferocia inaudita tra le quali immagini, compreso un video semi-censurato dell'apparente decapitazione di un golpista, che fanno pensare all'intervento di squadracce organizzate e non di semplici sostenitori del presidente scesi in piazza con la bandiera appena utilizzata per gli europei di calcio.

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