Cronache

Verdetto di innocenza per l'imputata. Ma la Procura ordina di arrestarla

La donna, accusata di aver occupato abusivamente una casa, è stata scagionata. Ma un altro giudice ha ignorato la sentenza

Verdetto di innocenza per l'imputata. Ma la Procura ordina di arrestarla

Ma c'era o non c'era, la signora O., nella casa popolare di Milano finita al centro di una vicenda giudiziaria incredibilmente contraddittoria? Una sentenza dice di sì, un'altra sentenza dice di no. Per un giudice la signora è innocente, per un altro è colpevole. Già questo è bizzarro. Ma la Procura di Milano non si fa cogliere dall'incertezza, e ordina di portare in carcere la signora per scontare una condanna a quattro mesi. Anche se la sentenza che la riconosceva innocente è diventata definitiva, perchè la Procura non l'ha impegnata.

Tutto accade in via Cascina dei Prati, estrema periferia nordovest della città. In un appartamento vive una anziana signora che qualche tempo fa purtroppo muore. E come spesso accade l'appartamento viene abbandonato a se stesso. Ufficialmente non ci abita nessuno, ma i consumi elettrici continuano a essere intensi. I tecnici di Unareti, l'azienda elettrica, scoprono che in cantina i contatori sono stati allacciati tra di loro, e l'energia viene succhiata di qua e di là. Salgono nell'appartamento che dovrebbe essere vuoto, ci trovano due donne, e denunciano una delle due per il furto di energia elettrica; l'Aler denuncia la stessa donna per occupazione abusiva. La signora finisce sotto processo, e nell'ottobre scorso il giudice Luisa Savoia, dell'ottava sezione penale, la assolve sia dalla prima che dalla seconda accusa «per non avere commesso il fatto». Non c'è alcuna prova, scrive, che la signora avesse occupato l'appartamento, che ci vivesse, che vi consumasse energia.

Peccato che dello stesso reato, dello stesso appartamento e della stessa signora lo stesso tribunale di Milano si fosse occupato un anno prima, processandola e condannandola per occupazione abusiva. Secondo il giudice Amelia Managò, della sesta sezione, la donna era colpevole aldilà di ogni dubbio, tanto da vedersi negare anche le attenuanti generiche e rifilare quattro mesi di carcere. I raffinati sistemi informatici del tribunale non si accorgono di questa condanna precedente, la donna viene riprocessata e stavolta viene assolta. Non siamo di fronte a un processo d'appello, dove una decisione diversa è sempre possibile. Semplicemente, O. viene processata due volte per lo stesso fatto con conclusioni opposte.

Il buonsenso vorrebbe che la sentenza più mite prevalesse sull'altra, o almeno che qualche giudice si prendesse la briga di capire qual è quella giusta. Invece l'ufficio esecuzione della Procura nei giorni scorsi fa partire il mandato di cattura contro O., in base alla prima condanna. All'avvocato Marco De Giorgio, difensore della signora, viene notificato il provvedimento che dispone la carcerazione della signora. Un provvedimento preso con tutta calma: la condanna è divenuta definitiva nel dicembre 2020, la Procura impiega un anno e mezzo per tradurla in pratica. Se la signora fosse una pericolosa occupante, perchè aspettare tanto? Ma il problema vero è che la signora è innocente. Lo ha stabilito la seconda sentenza, quella del giudice Savoia. Secondo cui può darsi benissimo che la occupante fosse l'altra signora trovata in loco dagli ispettori delle case popolari, e che O. si trovasse lì come sua ospite. Ma per l'ufficio Esecuzione è come se quella sentenza non esistesse.

Così adesso la signora O. dovrebbe essere arrestata e portata in carcere a scontare i quattro mesi. Ma la signora non si trova, nè nella casa che è accusata di avere occupato nè da nessuna altra parte. Insomma, in poche parole, ha deciso di cambiare aria.

Come si può darle torto? Colpevole, innocente, poi di nuovo colpevole: una giustizia così ondivaga forse ha deciso che alla fine è meglio non fidarsi.

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