Roma - A sorpresa, i sondaggi post referendum dicono tutti la stessa cosa: il partito che si identifica con il leader sconfitto, ossia Matteo Renzi, cresce: 32,6%, in testa a tutti, lo dava ieri Swg. E, come dice un dirigente Pd tutt'altro che renziano, l'ex dalemiano (oggi orfiniano) Fausto Raciti, «il valore aggiunto al Pd è tutto di Matteo Renzi». Si riferisce a quel 40% di Sì del 4 dicembre, ma anche alle rilevazioni fatte a caldo che evocano un'ipotesi allo stato del tutto fantapolitica che però fa riflettere molti tra i democrat: un partito solo «di Renzi», collocato nel centrosinistra ma a vocazione liberal e riformista, ha più appeal elettorale di un classico Pd con la sua giostra di vecchie facce post-Pci e post-Dc, di correnti, di congiure, di accoltellamenti, di ex segretari che si eccitano solo a tentare di far le scarpe ai giovani successori.
A dirlo è un sondaggio commissionato nei giorni scorsi da La Stampa all'istituto di Nicola Piepoli, che fissa al 33% la quota di debutto di un immaginario «partito di Matteo». E quel risultato inaspettato ha di certo fatto piacere al premier uscente. Non che Renzi ci stia pensando seriamente, a farsi un partito tutto suo: al momento, è tutto concentrato sul nuovo governo, sul Pd e sull'organizzazione di un congresso, in tempi ravvicinati, che consolidi al sua leadership interna e la rilanci in vista di elezioni politiche.
Nella mischia sono in molti a volersi buttare, dal megalomane presidente della regione Puglia Emiliano allo smunto bersanian-dalemiano Speranza al toscano Enrico Rossi. Ma allo stato la convinzione dei più avveduti, anche tra chi qualche ambizione di fare il segretario potrebbe nutrirla (come il Guardasigilli Andrea Orlando) è granitica: «In un congresso con le primarie aperte non c'è storia: vince solo Renzi».
Ma c'è chi invita a tenere presente un altro fattore importante: «È chiaro che con il No alle riforme si torna dritti dritti alla Prima Repubblica e al proporzionale ragiona un dirigente di lungo corso del centrosinistra -. E in un assetto di quel genere, le ragioni che hanno tenuto insieme il Pd come partito a vocazione maggioritaria potrebbero affievolirsi. E a quel punto, perché a Matteo Renzi non potrebbe venire la voglia di misurarsi in proprio con la sua squadra, puntando a diventare l'ago della bilancia di qualsiasi maggioranza?».
Ragionamenti da divanetti del Transatlantico, per ora senza sbocco.
Ma il fatto che il fantasma del «partito renziano» continui a scorrere come un fiume carsico e a suscitare timori può essere assai utile al leader per tenere unito il Partito democratico, spaventato dalla minaccia che se ne vada lui con il suo numero magico: 40 per cento.
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