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Il vero test elettorale sarà per l'opposizione. E al Nazareno tira aria di rassegnazione

Chiusura in bruttezza a Roma: i candidati alla segreteria si defilano

Il vero test elettorale sarà per l'opposizione. E al Nazareno tira aria di rassegnazione

Confuso, diviso, in ordine sparso: a pochi giorni dal voto per le Regionali in Lazio e Lombardia, il gruppo dirigente Pd appare così rassegnato alla sconfitta da essersi praticamente defilato dalla campagna elettorale. Che peraltro si incrocia e si sovrappone al tormentone senza fine del congresso.

Così, a ieri sera, ancora non si avevano notizie certe sulle manifestazioni di chiusura per i candidati dem: Alessio D'Amato (bravo assessore uscente alla Sanità nel Lazio, appoggiato anche dal Terzo Polo ma avversato da M5s) e Pierfrancesco Majorino (europarlamentare milanese che dai 5S è appoggiato, mentre il Terzo Polo sostiene Letizia Moratti). A lanciare l'idea di un'iniziativa comune dei 4 candidati al congresso Pd a sostegno degli aspiranti governatori era stato Gianni Cuperlo, il primo febbraio: «Tutti assieme, con Bonaccini Schlein (nella foto) e De Micheli, a sostegno di Majorino e D'Amato». Gli altri candidati avevano aderito, il segretario uscente Enrico Letta pure, e pareva cosa fatta. Invece la riserva verrà sciolta solo oggi, e a quanto pare i quattro più uno saranno presenti di persona solo a Milano, con Majorino. A Roma, forse, faranno solo un intervento video, o magari un messaggio letto da Amadeus.

Scelta casuale? Neanche un po': nella Capitale, con D'Amato, occorrerebbe dividere il palco anche con il Terzo Polo, e questo crea resistenze nel Pd. Carlo Calenda sarà alla manifestazione di chiusura di D'Amato a Garbatella, con Zingaretti e il sindaco Gualtieri. «Ma ancora non hanno deciso se parlerò o no», raccontava ieri tra il serio e il faceto. Mentre Renzi ha chiuso ieri sera la campagna per il «suo» Luciano Nobili. «L'alleanza con il Pd ci penalizzerà nel voto», confida un big di Iv. Mentre i dem sono sempre più ostaggio di una sinistra che chiede di «estirpare le scorie liberiste del renzismo», che rinnega la stagione delle riforme dell'ex premier (il Jobs Act è diventato il male assoluto) e che vede il sol dell'avvenire nella sottomissione al populismo trasformista del neo-berlingueriano Giuseppe Conte. E pazienza se nel Pantheon del leader grillino sono stati via via arruolati Salvini, Trump, Putin, Xi e Bolsonaro: la «scintilla della Rivoluzione d'ottobre» (copyright Goffredo Bettini) brilla in fronte a Giuseppi. Il quale, nel frattempo, provvede a mettere in difficoltà il candidato dem lombardo (che in teoria appoggia, ma del cui risultato poco gli cale) rilanciando la polemica contro i termovalorizzatori, che a suo dire è «folle» costruire e mantenere perché sarebbero «tecnologia obsoleta» da rottamare. Una linea che già aveva costretto Majorino a correre ai ripari, giurando che «non mi passa neanche per la testa di chiedere ai sindaci di chiudere i termovalorizzatori, sarebbe una follia». Ben sapendo che i primi ad opporsi sarebbero i cittadini delle località dove i termovalorizzatori hanno portato grossi vantaggi economici oltre a risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti.

Cosa che sanno anche i grillini, tanto che ieri, dietro le quinte, la candidata 5S nel Lazio Bianchi supplicava i cronisti di non dar risalto ai suoi stessi proclami anti-termovalorizzatori, perché «gli elettori sono favorevoli».

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