Politica

Verso il rinvio. Ma il «no deal» incombe

Deputati pronti alla proroga, che non esclude il rischio di divorzio senza intesa

Gaia Cesare

E ora? Adesso che Westminster ha detto due volte «no» al piano concordato tra Theresa May e l'Unione europea, che succederà? L'agonia si allunga e l'incertezza regnerà sovrana ancora per diverse settimane. Perché a questo punto è probabile che si arrivi al rinvio della Brexit fissata per il 29 marzo (mancano 16 giorni). È probabile che il Parlamento britannico quantomeno lo chieda domani ai 27 della Ue, cui spetterà poi dare il proprio via libera. Se succederà, sarà il tentativo disperato di trovare un accordo in poche settimane dopo che un accordo non è stato trovato in quasi tre anni di trattative, dal referendum del 23 giugno 2016. Il rischio, tuttavia, è che Bruxelles ora cambi linea (le dichiarazioni pre e post-voto dimostrano che la Ue non ha preso affatto bene l'ennesimo schiaffo di Westminster dopo le concessioni), che i negoziati naufraghino nuovamente e a Londra si possa anche arrivare a elezioni anticipate e pure a un secondo referendum, oltre che a un'uscita, magari posticipata, ma comunque senza intesa.

NO DEAL Prima del voto sul rinvio, Westminster deve pronunciarsi su un'altra questione cruciale oggi. È proprio il no deal, un addio alla Ue senza intesa, ipotesi che da tempo fa gola ai Brexemists, agli estremisti di un divorzio non consensuale, ma che è improbabile trovi una maggioranza in Aula. Considerata la posizione del Partito laburista e di molti Conservatori europeisti è difficile che in Parlamento si trovi una maggioranza favorevole a un addio non concordato con Bruxelles, definito «disordinato», o «disastroso» anche dalla Banca centrale d'Inghilterra e dal ministero dell'Economia. Se il no deal fosse votato (la premier ha lasciato libertà di voto ai suoi), il Regno Unito lascerebbe la Ue senza accordo il 29 marzo.

RINVIO Se il no deal fosse bocciato, i parlamentari dovranno pronunciarsi domani sull'estensione dell'articolo 50, cioè su un rinvio della Brexit. La proroga è condizionata dall'approvazione dei 27 della Ue, che si incontrano il 21 marzo per un summit, con sempre più scarso entusiasmo rispetto al caos Brexit. Potrebbero dare il via libera a un rinvio «breve», di poche settimane, se questo Londra chiederà, per evitare anche il caos delle elezioni europee e tenere fuori dal voto di maggio i deputati britannici. Ma se dicessero «no» a un rinvio a breve termine e chiedessero una proroga più lunga, Westminster dovrebbe nuovamente dare il proprio via libera. Se non arrivasse, saremmo al punto di partenza: ogni opzione sul tavolo, dall'uscita senza intesa, al secondo referendum al voto anticipato.

ELEZIONI ANTICIPATE I Tory non possono presentare una seconda mozione di sfiducia nei confronti della premier prima di dicembre (ci hanno già provato, sconfitti, a dicembre 2018). Potrebbero semmai accodarsi a una mozione proposta dal Labour (che però vive un momento di crisi interna dopo l'addio di alcuni deputati e la formazione in queste ore di un sottogruppo «blairiano» che fa capo al numero due del partito Tom Watson). Si potrebbe dunque arrivare a elezioni anticipate. Oppure la premier May potrebbe chiederle dopo la sconfitta, come vorrebbe qualche deputato Tory.

INTESA LAST MINUTE Difficile ma non impossibile che accada visto che questa e altre trattative ci hanno abituato a giravolte e colpi di scena. Perciò se Londra o la Ue dicessero no a un rinvio (breve o lungo), May potrebbe ancora tentare di chiedere un terzo voto sul suo piano, prima o dopo il 29 marzo. Se fosse «no», resterebbe ancora un'ultima speranza. Che la Ue salti fuori con una trovata dell'ultimo momento per sbloccare lo stallo.

Ma a Bruxelles sono parecchio delusi: hanno dato a Lady May quello che chiedeva ma sono rimasti ancora con un pugno di mosche in mano.

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