Viaggio sul confine tra le due Irlande: "Siamo pronti a tornare al passato"

La linea che divide Ulster ed Eire è un fosso. Migliaia di persone la attraversano ogni giorno per lavorare: «Ci sentiamo britannici»

Viaggio sul confine tra le due Irlande: "Siamo pronti a tornare al passato"

Pettigo (confine irlandese) Il confine corre lungo il fiumiciattolo Termor, poco più di un fosso. Separa la parte del Paese che si trova formalmente in Irlanda del Nord, un centinaio di persone, da quella che si trova nella repubblica d'Irlanda, una comunità poco più numerosa. A unirle un ponticello di 24 passi, nessun indizio che si sta passando da uno stato all'altro tranne il cartello irlandese che avvisa che da lì in poi la velocità è misurata in chilometri.

Pettigo e' un villaggio iconico della matassa politica e sociale che le discussioni sulla Brexit stanno cercando di dipanare, al momento invano. Mervyn, meccanico 80enne di vecchie Mini e un passato di campione di rally, ha la sua officina attaccata al ponte, dalla parte nordirlandese. «Un confine c'è già stato in passato, ci passeremo anche stavolta». La gentilezza con cui parla, la timidezza gioviale dei suoi occhi chiari, possono ingannare. Non ha dimenticato gli scontri armati, l'esercito e i gruppi paramilitari, i morti del Paese e gli attentati. Uno gli fece saltare in aria il negozio. Non ha scordato che gli spararono ma la pallottola colpì il suo assistente. Storie di un passato non troppo lontano che rischia di tornare.

Dall'altra parte del ponte, in Irlanda, James gestisce un piccolo alimentari che funge anche da ufficio postale. «Qualche giorno fa un giornale locale ha raccontato di persone che si sono dette pronte a far saltare eventuali nuovi uffici doganali». Come successe durante i Troubles, gli scontri tra unionisti e repubblicani, durante i quali la dogana inglese fu fatta esplodere. Quella irlandese c'è ancora, una casetta verde abbandonata alla fine del ponte, di fronte al negozio di James. Che si lamenta della sterlina debole, «gli affari si sono già ridotti di un 10% per me». Chi si avvantaggia di un euro forte è Martin, direttore finanziario della rinomata fabbrica di porcellane di Belleek, foto del principe Carlo alle pareti, un giro d'affari di decine di milioni di euro in larga parte con l'Irlanda e gli Stati Uniti. Vive e lavora in Irlanda del Nord ma «per tornare a casa attraverso due volte il confine». Dovesse esserci un hard border domani, la vita sua e dei suoi colleghi sarebbe fortemente impattata. Come Martin decine di migliaia di persone attraversano il confine ogni giorno, dipendenti, operai, liberi professionisti, studenti, malati, parenti. Due comunità fortemente integrate tra di loro, «non vedo il rischio di tornare indietro al tempo dei Troubles», continua Martin, anche se non ha idea di cosa possa riservare il futuro. «May è venuta qui a parlare con gli imprenditori locali - dice indicando l'angolo della mensa dove era sistemato un palchetto - ha detto che le attività economiche saranno salvaguardate». Ma nessuno sa come. «A me un confine sul mare d'Irlanda andrebbe bene», prosegue. Si riferisce alla proposta di Bruxelles che l'Irlanda del Nord rimanga allineata all'Ue e i controlli doganali vengano fatti ai porti. Ma il Dup, il partito unionista che si è sempre opposto all'accordo May per timore che la clausola di backstop possa di fatto condurre all'unificazione irlandese? «È un problema che non si pone, la maggioranza qui vuole rimanere nel Regno Unito».

La strada che zigzaga verso Strabane attraversa pascoli e colline, si passa di continuo il confine senza rendersene conto.

In un pub un foglio su un muro dice «no hard border», il barista dice che ci saranno problemi «al 100%, la gente già ne parla». Qui Brexit significa l'incertezza e il timore di tornare a un passato di violenze, troppo recenti per essere già guariti.

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